Kiev e Mosca agli antipodi: speranze e timori dagli States
Visto da est Zelensky teme lo stop alle armi. Il Cremlino non invia gli auguri ma spera in un accordo. Fino all’insediamento del nuovo presidente, l’esercito di Putin proverà ad avanzare il più possibile
Visto da est Zelensky teme lo stop alle armi. Il Cremlino non invia gli auguri ma spera in un accordo. Fino all’insediamento del nuovo presidente, l’esercito di Putin proverà ad avanzare il più possibile
Paura e smarrimento da un lato, malcelata soddisfazione e attesa dall’altro. Kiev e Mosca sono in fermento dopo la vittoria di Donald Trump ed entrambe si aspettano che la guerra in Ucraina risentirà in maniera decisiva del cambiamento alla Casa bianca.
«Molti auguri a Donald Trump per la sua vittoria impressionante. Io apprezzo il suo impegno a favore della pace tramite la forza. È anche il nostro impegno per una pace giusta», ha dichiarato Zelensky a caldo. Chissà se per il leader ucraino l’aggettivo non fosse da intendere nel senso di scioccante, più che di straordinario. Perché impressionante lo scarto di Trump su Harris lo è stato davvero per i vertici kieviti.
«Se sarò eletto porrò fine alla guerra in Ucraina in 24 ore», ha dichiarato più volte Trump negli ultimi mesi. Come? Non è dato saperlo perché the Donald non l’ha mai voluto rivelare, ammesso che un piano strutturato esista davvero.
I più pessimisti ipotizzano che Washington interromperà le forniture di armi all’Ucraina costringendola a firmare una tregua che lasci alla Russia i territori conquistati finora. Un cessate il fuoco «a partire dalle posizioni sul campo di battaglia», come hanno più volte ribadito dal Cremlino.
IN ALTRI TERMINI, una vittoria per Vladimir Putin che potrebbe rivendicare la «liberazione» dei territori russofoni ucraini, anche se al momento un terzo circa del Donetsk è ancora sotto il controllo del governo di Kiev. Una Casa bianca che volta le spalle all’ex alleato, come del resto già accaduto in Afghanistan o con i curdi, e lo abbandona al suo destino senza però dimenticare mai di sottolineare che se esiste ancora un’Ucraina – pur mutilata nel territorio – è solo grazie agli aiuti militari statunitensi. Tuttavia, al netto dei proclami elettorali, l’abbandono non sembra al momento l’opzione più plausibile, almeno stando agli analisti più esperti.
Al momento appare più probabile che Kiev approfitterà dell’accelerata imposta da Biden alle ultime tranche di aiuti militari per rinfoltire i magazzini e arroccarsi in difesa delle cittadine del Donetsk al fine di impedire il collasso del fronte. Da quando il tycoon si insedierà alla Casa bianca è plausibile una diminuzione progressiva dell’invio di armi a Kiev, ma non un arresto totale.
In primis perché il voltafaccia, se di questo si tratterà, non può essere drastico, pena l’accusa di tradimento.
In secondo luogo, ma di maggior valore, perché decine di miliardi di dollari di armamenti fanno sì che Kiev non possa essere abbandonata dalla sera alla mattina. C’è anche chi sostiene che Trump, da bravo showman, abbia tutto l’interesse a un gesto plateale, soprattutto dato che «la fine delle guerre» è stato il cardine della sua campagna elettorale.
Ma se il comportamento del leader repubblicano durante lo scorso mandato può essere usato come precedente, bisogna riconoscere che l’azione di governo alla fine è stata meno estrema dei proclami elettorali. Inoltre ci sono le sanzioni alla Russia, i rapporti con l’Europa e la Nato, il posizionamento rispetto alla Cina.
TUTTE QUESTIONI che dall’Ucraina non possono prescindere. Zelensky scrive di apprezzare l’impegno di Trump «a favore della pace tramite la forza» ma il tycoon non ha mai palesato alcun impegno in tal senso. Era un modo di imbrigliare Trump ma, lo sanno tutti, lo spettacolo è il suo terreno di gioco, nonostante l’innegabile talento di Zelensky.
Dalla Russia non è stata inviata alcuna nota ufficiale di congratulazioni al neo-presidente. Secondo il Moscow times, che a sua volta cita un sito russo di notizie indipendenti (Vytorstka), Vladimir Putin ha inviato un messaggio «in modo non ufficiale» a Trump attraverso «conoscenze» al ministero degli esteri russo. A livello ufficiale, invece, il ministero degli Esteri ha dichiarato che «lavorerà con la nuova amministrazione americana», ma «difendendo fermamente i suoi interessi nazionali e concentrandosi nel raggiungere tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale».
ALLO STESSO TEMPO il Cremlino ha respinto le accuse di interferenze nel voto Usa dichiarando di «non aver interesse» a condizionare uno dei due candidati in quanto «tutta la politica americana è caratterizzata da una forte componente anti-russa».
Al di là delle dichiarazioni di facciata, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha espresso più verosimilmente le speranze di Mosca per un «cambiamento della politica Usa sull’Ucraina», per la «fine del conflitto quanto prima» e per «una prossima intesa» con Trump. L’ipotesi più probabile è che da qui a gennaio Mosca lancerà nuove offensive sul campo in modo da poter rivendicare più terreno possibile quando ci siederà al tavolo negoziale, tra qualche mese. Il quando e il come saranno il marchio di fabbrica di Trump.
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