«Se Erdogan vincerà le elezioni, la colpa sarà degli Stati uniti e della Nato»
Turchia Intervista al rappresentante dell'Hdp in Europa, Fayiz Yagizay: «Non penso che Stoccolma e Helsinki consegneranno i dissidenti. Ma l’accordo ha avuto due effetti gravissimi: criminalizzare le unità curde in Rojava e legittimare Ankara. Oggi si apre il nostro congresso, potrebbe essere l’ultimo: a breve la Corte costituzionale deciderà sulla nostra messa al bando»
Turchia Intervista al rappresentante dell'Hdp in Europa, Fayiz Yagizay: «Non penso che Stoccolma e Helsinki consegneranno i dissidenti. Ma l’accordo ha avuto due effetti gravissimi: criminalizzare le unità curde in Rojava e legittimare Ankara. Oggi si apre il nostro congresso, potrebbe essere l’ultimo: a breve la Corte costituzionale deciderà sulla nostra messa al bando»
«In Turchia siamo in tanti, abbastanza per poter democratizzare questo paese, siamo abbastanza da dargli speranza. Mi appello alle potenze internazionali: non dovete sostenerci, facciamo da soli, ma almeno non aiutate la tirannia di Erdogan, non aiutatelo a vincere ancora».
Appena atterrato a Bruxelles, Fayik Yagizay arriva subito al punto. Alla vigilia del congresso annuale dell’Hdp, lui che ne è rappresentante in Europa, individua nell’impunità garantita al presidente turco dall’Occidente uno dei pilastri del suo potere apparentemente invincibile.
Ma Erdogan si può sconfiggere e di nuovo, come negli anni passati, il Partito democratico dei Popoli – formazione della sinistra turca pro-curda, ombrello a movimenti socialisti, Lgbtq, ambientalisti e femministi – giocherà un ruolo fondamentale.
Pochi giorni fa Svezia e Finlandia hanno firmato un memorandum d’intesa con la Turchia: hanno ceduto alle richieste di Erdogan su estradizioni e sostegno alle unità curde Ypg nella Siria del nord-est in cambio dell’adesione alla Nato. Come l’Hdp legge tale accordo?
Non pensiamo che Svezia e Finlandia consegneranno alla Turchia dissidenti, scrittori, intellettuali turchi. Nel memorandum non si indicano numeri e nomi, è solo Erdogan a darli per certo. Stoccolma e Helsinki hanno detto che quella delle estradizioni non è una decisione in capo al governo ma alla magistratura. Erdogan pensa che ogni Stato funzioni come la Turchia dove lui decide e le corti obbediscono. In Svezia e Finlandia la magistratura è indipendente. Non penso avverrà molto nella pratica. Ma il memorandum è comunque una vergogna, un insulto per noi e un regalo a Erdogan. Quello che è più grave è la criminalizzazione del movimento curdo e di ogni movimento che lotta democraticamente per la libertà. Svezia e Finlandia, accettando di non sostenere più il Pyd e le Ypg, criminalizzano le forze che hanno sconfitto l’Isis e reso l’Europa più sicura. Questo è il peggior effetto di quel memorandum: dire che le Ypg non sono legittime, sono criminali, e accettare la narrativa di Erdogan.
È anche un bell’aiuto al presidente turco in vista del voto.
È l’altro effetto del memorandum: aver riconosciuto una vittoria diplomatica a Erdogan in un momento cruciale in cui necessitava di legittimità internazionale e di sostegno globale da usare sul fronte interno. Sui media turchi non si parla d’altro. Se Erdogan vincerà le elezioni, la responsabilità sarà degli Stati uniti, della Nato, di Svezia e Finlandia. Quell’accordo, sponsorizzato dal segretario generale della Nato in pubblico e dagli Usa dietro le quinte, è l’ennesimo prezzo pagato dai curdi.
Domenica 2 luglio, quinto congresso dell’Hdp. Quali i temi al centro del dibattito in vista delle parlamentari e delle presidenziali del 2023 e quali le difficoltà?
Non è solo l’ultimo congresso prima delle elezioni, ma potrebbe essere l’ultimo del partito: la Corte costituzionale è chiamata a decidere sulla messa al bando dell’Hdp, siamo in attesa della sentenza. In Turchia stiamo attraversando un momento cruciale per il processo di democratizzazione interno, per la questione curda e per le aggressioni di Erdogan al popolo curdo dentro e fuori dai confini turchi, per gli sviluppi internazionali dopo la guerra in Ucraina e i rapporti della Turchia con la Nato, sempre più strategici. Al congresso discuteremo i nostri rapporti con le opposizioni, che al momento non danno molte speranze sul fronte della democratizzazione interna e della soluzione della questione curda. Nel corso dell’ultimo mese abbiamo già realizzato lavori preparatori e preso decisioni in vista del congresso con l’obiettivo di mostrare la nostra forza: parteciperanno in moltissimi, tanto che le autorità tentano di impedire ai partecipanti di arrivare ad Ankara, vogliono dimostrare che non abbiamo più sostegno popolare. Parteciperanno anche 100-150 ospiti internazionali, a mostrare la solidarietà internazionale al partito.
La sentenza della Corte costituzionale arriverà prima o dopo il voto?
Non conosciamo ancora la data. Tutto dipenderà dalle decisioni di Erdogan di andare o meno a elezioni anticipate e di chiudere o meno l’Hdp. Non è ancora sicuro se metterci al bando favorirà i suoi interessi: da una parte molti curdi che votano l’Akp, il partito del presidente, non sono affatto d’accordo con un’eventuale chiusura e questo gli farebbe perdere voti a favore delle opposizioni; dall’altra parte subisce molti pressioni dai nazionalisti, gli alleati di governo del Mhp, perché ci cancelli.
Erdogan arriva al voto indebolito dalla grave crisi economica interna o le mosse internazionali che citava prima lo salveranno anche stavolta?
Non ne siamo certi. In condizioni normali perderebbe: ha visto eroso il suo consenso e al momento non ha la maggioranza assoluta dei voti. Ma il fronte delle opposizioni non sa dare speranza alla gente: sono divise e non vogliono in alcun modo essere associate all’Hdp, nonostante il nostro sia il partito chiave alle elezioni. È difficile per noi pensare, con simili forze, a una ripresa del processo di pace, è pressoché impossibile. I partiti di opposizione in Turchia hanno la stessa mentalità dell’Akp sulla questione curda: nessuno di loro dà segnali in merito a un’eventuale ripresa del processo di pace se dovessero andare al governo. Parlano di democrazia, che è importante anche per noi, ma senza una soluzione politica alla questione curda la democrazia è un miraggio. Al momento non vediamo spiragli dalle opposizioni, per questo non possiamo dire se Erdogan vincerà o meno.
L’Hdp è da anni oggetto di una repressione brutale: migliaia di arresti, a partire dai co-presidenti tra cui Demirtas in carcere dal novembre 2016, decine di comuni commissariati dal ministero degli interni e ora il processo per la messa al bando con l’accusa di sostegno al terrorismo e legami con il Pkk. Siete ancora in grado di lavorare?
L’oppressione non si ferma mai. Oltre 4mila dei nostri membri sono in prigione, tra loro co-presidenti, parlamentari, sindaci, consiglieri comunali. Questo rende le attività politiche molto difficili. Ma andiamo avanti. Se rimuovessero 10 alti vertici dell’Akp, o anche un uomo solo, Erdogan, il partito collasserebbe. Lo stesso per il Chp kemalista. Noi non siamo un partito che dipende dalla leadership, è dalla lotta della base che si origina il potere. Ogni volta che arrestano uno di noi, ce ne sono cinque pronti a sostituirlo. Il lavoro è complesso, è difficile dare risposte alle richieste della gente, ma siamo ancora vivi. E lo vedrete al congresso, nonostante tutta la repressione subita ci siamo.
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