Il governo di Erdogan ha rimosso domenica i sindaci democraticamente eletti di Dyarbakir, capitale del Kurdistan turco, Van e Mardin, due delle maggiori città della regione. Fanno parte dell’Hdp, il Partito democratico dei popoli. L’accusa è essere legati al Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, considerato da Ankara organizzazione terroristica.

Al loro posto il ministero dell’interno ha indicato commissari speciali. La decisione sembra essere parte di un più ampio attacco alle opposizione al governo: le fonti parlano di più di 600 arresti in tutto il paese, in particolare tra i dipendenti comunali.

Le reazioni di protesta e sdegno sono state immediate: da giorni si susseguono gli scontri nelle città coinvolte. Qualcosa però sembra diverso rispetto a due anni fa, quando furono commissariati quasi cento comuni. La decisione del ministro Soylu ha trovato molte voci ferme di dissenso, alcune particolarmente autorevoli.

Il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, del Partito repubblicano Chp, ha comunicato la sua incredulità su Twitter, definendo l’azione «inspiegabile in democrazia» e aggiungendo che «è inaccettabile ignorare la volontà della gente».

Anche l’ex presidente della Repubblica Abdullah Gül ha criticato l’operato del governo. Le parole più dure, però, arrivano da Ankara: «Vogliono uccidere la democrazia in Turchia, sulla base di accuse assurde e totalmente infondate». A dircelo è Azad Barıs, vice presidente dell’Hdp, che assieme ai compagni di partito segue da vicino questi convulsi momenti di «attacco alla volontà popolare».

Cosa succede in Kurdistan?

I sindaci di Diyarbakir, Mardin e Van sono stati esautorati con l’accusa di terrorismo, mentre la polizia ha arrestato oltre 600 persone fra funzionari comunali e militanti dell’Hdp. Si tratta di un numero ancora impreciso e probabilmente destinato a crescere, visto che martedì notte ulteriori detenzioni si sono verificate anche a Istanbul. I parlamentari del nostro partito si stanno recando nella zona, ma la tensione rimane altissima: polizia e militari reprimono le manifestazioni spontanee della popolazione in maniera brutale, con l’uso di idranti e gas lacrimogeno. È un quadro davvero inaccettabile per la nostra democrazia e per i diritti civili. Erdogan e i suoi alleati del Mhp stanno provando a giocare una guerra sporca nella nostra regione per colpire non solo l’Hdp e la maggioranza dei cittadini curdi, ma per sconvolgere l’intero assetto politico turco. Vogliono aprire le porte a una serie di attacchi che condurranno anche nelle città dell’ovest, come Istanbul, Izmir o Ankara.

Come pensate di agire come Hdp?

Siamo determinati a compiere tutto ciò che è democraticamente lecito per mostrare ai cittadini turchi di essere in grado di resistere a questo attacco. Abbiamo rilasciato numerosi comunicati e vogliamo mobilitare il maggior numero possibile di persone che si oppongano all’operato dell’Akp: sono in corso molte manifestazioni non solo nelle città interessate dalla sospensione del sindaco, ma in varie parti del paese. È una situazione difficile e pericolosa. Tuttavia, stiamo ricevendo la solidarietà e il supporto di numerose forze politiche. Non solo partiti d’opposizione, ma anche associazioni non governative, giornali, intellettuali e artisti. Persino alcuni membri dell’Associazione nazionale degli avvocati (che ha firmato una storica dichiarazione congiunta contro la rimozione dei sindaci, ndr) si sono schierati al nostro fianco. È ormai chiaro a tutti che quello di Erdogan è un regime illiberale e antidemocratico.

Notate dunque una società più reattiva e solidale rispetto a qualche anno fa?

L’atmosfera ora è cambiata radicalmente. Nel 2015-2016, qui in Kurdistan è iniziata una guerra che ha portato alla distruzione e al successivo commissariamento di numerose città da parte del governo. I commissari (kayyum in turco, ndr) non hanno fatto praticamente nulla se non rubare soldi alle casse comunali, lasciando grande insoddisfazione tra i cittadini: non a caso con le ultime elezioni locali il nostro partito ha riconquistato la maggior parte delle città. Il voto di marzo ha segnato un risultato positivo per tutte le forze democratiche in Turchia. La popolazione, soprattutto nell’area curda, è ora molto più politicamente consapevole e determinata a lottare per i propri diritti. È solo l’inizio e servirà tempo, ma siamo convinti di poter raggiungere i nostri obiettivi. Ci troviamo dentro a un cambiamento: siamo certi che il regime di Erdogan cadrà e, alla fine, vinceremo noi.