«Scioperiamo insieme contro Urso e Stellantis per salvare l’industria»
Autostop Fim, Fiom e Uilm in piazza il 18 ottobre: «Tutto il settore va male, non è colpa dell’elettrico ma della mancanza di investimenti». «Gli incentivi non hanno funzionato, nel 2025 per ben 25 mila lavoratori scadranno gli ammortizzatori»
Autostop Fim, Fiom e Uilm in piazza il 18 ottobre: «Tutto il settore va male, non è colpa dell’elettrico ma della mancanza di investimenti». «Gli incentivi non hanno funzionato, nel 2025 per ben 25 mila lavoratori scadranno gli ammortizzatori»
Contro il ministro Urso e contro Stellantis, sì, appoggiando la transizione all’elettrico con la consapevolezza però che solo un piano europeo può salvare il settore auto.
Fim, Fiom e Uilm non scioperavano unitariamente nell’ex gruppo Fiat dal febbraio 1994, dai tempi del piano Morchio. Lo rifaranno venerdì 18 ore per otto ore in tutto il settore automotive con manifestazione nazionale a piazza del Popolo a Roma. Gli scontri dell’epoca Marchionne sono superati, la «situazione è così grave che perdendo il settore auto rischiamo che l’Italia non sia più un paese industriale», sintetizza il segretario della Fiom Michele De Palma.
LA DEFLAGRAZIONE DELLA CRISI in Germania ha già colpito la componentistica del Nord Italia che «mette a rischio 70mila persone», accelerando la decisione dei sindacati per una protesta «molto forte e incisiva», la definisce il leader Uilm Rocco Palombella.
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La Germania promette aiuti, ma è solo rottamazioneProtesta a cui non si è sottratta la Fim, molto più battagliera della casa madre Cisl, che accusa direttamente governo e politica di una «tempesta perfetta senza precedenti»: «Draghi se ne accorge ora ma quando era a palazzo Chigi non ci ha ascoltato, mentre Urso è un anno che parla di un milione di auto e se nel 2023 eravamo a 750 mila veicoli prodotti, a fine 2024 scenderemo a 500mila e anche il 2025 sappiamo già che sarà durissimo», attacca il segretario Fim Cisl Ferdinando Uliano. «Siamo a quota 381mila auto nel 2024, le stesse che si producevano nel 1957», attacca Palombella.
ncrociamo le braccia perché siamo di fronte a un fallimento. Il fallimento è a Roma, è a Bruxelles e il rischio è che si scarichi sui lavoratori Michele De Palma, Fiom
I SINDACATI POTEVANO benissimo cedere alla tentazione di assecondare il testacoda di Urso e dire sì al rallentamento della transizione verso l’elettrico. Non lo hanno fatto perché conosco la situazione il problema e la situazione del settore molto meglio del ministro: «Noi appoggiamo la transizione ecologica», scandiscono Fim, Fiom e Uilm. «Non si può tornare indietro con l’elettrico perché gli investimenti dei grandi gruppi sono già stati fatti e il contraccolpo sarebbe uguale – spiega sempre Uliano – serve invece trovare un equilibrio fra obiettivi della neutralità tecnologica sulle emissioni di CO2 e i contraccolpi sociali sul calo delle produzioni».
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Un fallimento costruito nell’era MarchionneE SE IL GOVERNO MELONI ha la colpa di aver limitato il suo intervento a soli incentivi «che non hanno funzionato per niente» e di aver traccheggiato nel rapporto con Stellantis, l’azienda che ha preso l’eredità di Marchionne – quello che nell’elettrico non ha mai creduto, ritardando gli investimenti – ha colpe evidentissime: «La marcia indietro sulla gigafactory delle batterie a Termoli è gravissima perché quello era un investimento decisivo per puntare a rilanciare la produzione e non montare batterie che vengono dall’estero».
L’altra verità la dice papale papale Michele De Palma: «Sì, va male la vendita di macchine elettriche ma la realtà è la contrazione complessiva del mercato, non si vendono più macchine e il motivo è molto semplice: i salari sono troppo bassi per potersi permettere un auto».
LA SCORCIATOIA che anche Stellantis sta scegliendo è quella di allearsi con la concorrenza cinese, il dragone che – anche grazie alla superiorità tecnologica e ai grandi investimenti nella transizione – riesce a produrre e vendere auto a prezzi molto più bassi dei gruppi europei. Ma è una strategia di corto respiro, specie per chi punta – come Tavares – a dominare il mercato.
E allora la situazione del settore in Italia è sempre più allarmante: «La Pandona la fanno in Polonia, la Lancia in Spagna e l’Alfa Romeo Milano che hanno dovuto cambiare in Junior dopo le nostre critiche, anche questa in Polonia», attacca Palombella. «Anche a settembre a Mirafiori si è lavorato solo 5 giorni e la 500 elettrica non vende mentre la ibrida, conquistata con lo sciopero, dovrebbe essere prodotta nel 2025. Solo a Melfi ci sarà un nuovo modello nel 2025 mentre Cassino rimane senza, con Tonale e Grecale in grande difficoltà e con gli ultimi modelli, GranTurismo e GranCabrio, che vanno male», sintetizza Uliano, che continua a chiedere a gran voce a Stellantis «un modello della piattaforma Small», le ex utilitarie. Mentre «continua la cassa integrazione ovunque e nel 2025 finiranno le coperture degli ammortizzatori sociali per 25mila lavoratori con solo Pomigliano e Atessa (dove si producono i veicoli commerciali, ndr) che si salverebbero», precisa il segretario Fim Cisl.
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Il piano Urso per rallentare l’elettrico che la commissione ha già bocciatoECCO ALLORA CHE LO SCIOPERO del 18 ottobre sarà importantissimo. «Puntiamo a riempire piazza del Popolo anche se sappiamo che non sarà facile», spiega Palombella.
«Il 18 ottobre ci alziamo in piedi di fronte a un fallimento dell’Europa, del governo italiano e degli headquarter dei grandi gruppi – attacca De Palma – vogliamo evitare che il fallimento della classe dirigente nella gestione della transizione si scarichi sui lavoratori, per chiedere finalmente un tavolo a palazzo Chigi, non la trattativa inutile che Uros da fa un anno, per poi non concordare con noi il sorpasso in retromarcia sull’auto elettrica. Lo faremo – continua il segretario Fiom – assieme ai sindacati degli altri sindacati europei, dovrà essere una manifestazione di popolo, non solo di metalmeccanici, perché tutti devono essere consapevoli che se salta l’auto, salta tutto il paese», conclude De Palma.
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