Avvolto in una kefiah, un ragazzo poggia le mani sulla ringhiera della finestra al primo piano della sede centrale di Sciences Po, la prestigiosa università dell’élite parigina. È uno dei tanti studenti che da giovedì sera occupano lo stabilimento in pieno quartiere latino. Le sue mani poggiano su due grandi lettere ricavate da grossi fogli di carta improvvisati: «C» e «M», a comporre con altri fogli la scritta «COMPLICE» che attraversa le finestre dello stabilimento della rue Saint-Guillaume, decorate dagli occupanti con i colori della Palestina.

IL RAGAZZO guarda sotto: sulla strada, centinaia di persone sono accorte non appena si è sparsa la notizia. I cancelli di ferro nero all’ingresso sono sepolti sotto i pallet, i bidoni dell’immondizia e le biciclette in bike-sharing, un patchwork barricadero che è il marchio di fabbrica degli studenti francesi quando si tratta di bloccare una facoltà o una scuola; il logo di Sciences Po, che di solito troneggia in cima, è appena riconoscibile, coperto da una bandiera palestinese.

Echeggiando quello che succede nei campus americani, Sara, studentessa in master a Sciences Po, spiega che gli studenti vogliono una riunione con l’amministrazione e che quest’ultima «sospenda i partenariati con le università israeliane: è stato fatto con la Russia per l’invasione dell’Ucraina, vogliamo che venga fatto per Israele e che vengano sospese le inchieste disciplinari nei confronti degli studenti pro-Palestina».

«Viviamo non dico alla giornata, ma al minuto proprio – dice – Ci sono talmente tanti fattori che possono far continuare o fermare la mobilitazione…». Poi si ferma e si volta verso le finestre della facciata al primo piano: una ragazza avvolta in una kefiah rossa urla dentro il megafono che l’amministrazione di Sciences Po ha minacciato la sospensione degli studenti occupanti, rifiutando di accedere persino alla richiesta di intavolare una discussione con la presidenza.

«Voilà, si resta», dice Sara voltandosi. Spiega che mercoledì, dopo un primo tentativo di occupazione in un altro campus di Sciences Po a Parigi, «alle 23 ci hanno avvertito che era arrivata la polizia e mezz’ora dopo l’antisommossa è entrata nell’università e ci ha sgomberato».

LE IMMAGINI hanno fatto il giro dei social e il giorno dopo centinaia di studenti scandalizzati dall’ingresso della polizia nell’università hanno risposto all’appello per tornare a mobilitarsi. «La sera stessa abbiamo bloccato di nuovo, ma questa volta alla sede centrale», dice.

Attorno a lei, sul marciapiede di fronte all’ingresso, decine e decine di giovani – chi studente a Sciences Po, chi in altre università parigine – sciamano attorno a computer portatili, portano cibo, discutono, si passano megafoni, in un parola: si organizzano. Un’assemblea prende corpo, sotto lo sguardo entusiasta di Rima Hassan, accorsa in tutta fretta.

La 32enne giurista franco-palestinese, candidata alle elezioni europee con La France Insoumise, è stata recentemente convocata dalla polizia per «apologia del terrorismo» assieme alla presidente del gruppo parlamentare Mathilde Panot, per il loro sostegno alla causa palestinese.

«Sono commossa – dice Hassan al manifesto – Sono dei giovani talmente maturi, strutturati, sono mesi che costruiscono spazi di riflessione sulla lotta palestinese ed è il rifiuto che gli oppone l’amministrazione ad aver provocato quest’occupazione…È una cosa che dà la temperatura di tutta una generazione, e per me è importante dire che sono giovani che meritano la nostra fiducia».

L’ASSEMBLEA continua sotto le finestre di Sciences Po. Un ragazzo prende la parola a nome del collettivo Tsedek! , un gruppo di giovani ebrei anti-sionisti. «Noi ebrei dobbiamo dire che non saremo la cauzione per il fascismo», urla tra gli applausi. Si chiama Gabriel ed è studente alla Sorbona.

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«A Sciences Po ci sono molti studenti stranieri, che sono meno sensibili all’equazione giudaismo uguale sionismo», ci dice. Per Gabriel – che ha «un pezzo di famiglia in Israele» – questa presenza internazionale ha favorito l’emergere di una mobilitazione proprio a Sciences Po.

«Per questi studenti internazionali, è più semplice mobilitarsi per la Palestina, perché all’estero e soprattutto nei paesi anglosassoni è stato fatto un lavoro politico per dire che Israele non parla a nome di tutti gli ebrei e che il governo israeliano ci strumentalizza, ci mette in pericolo per giustificare una politica genocidaria».

Il presidio sotto ai balconi, nel frattempo, continua a ingrandirsi, mano a mano che arrivano le persone. Poi, verso le otto, uno squadrone di Crs – la polizia antisommossa – circonda il sit-in, mentre gli studenti continuano a scandire: «Restiamo qui, non ci muoviamo».

In serata la vittoria del movimento: l’amministrazione ha accettato di discutere con gli studenti in un incontro pubblico, il prossimo giovedì, delle loro richieste, tra cui un’indagine sui partenariati attivi con università e organizzazioni che sostengono Israele. Accolta anche l’altra richiesta: sono sospesi i procedimenti disciplinari presi nel corso dell’ultima settimana contro chi si era mobilitato.