San Ginesio «protettore» del teatro e anima della ricostruzione
In scena Filippo Timi e Roberto Latini spiccano al festival in provincia di Macerata, premiato Lino Musella. Tra le attrici incoronata Sara Putignano
In scena Filippo Timi e Roberto Latini spiccano al festival in provincia di Macerata, premiato Lino Musella. Tra le attrici incoronata Sara Putignano
Si è chiuso ieri sera Ginesio fest, manifestazione assai particolare dedicata alle «arti teatrali», cui è annesso anche il premio San Ginesio «all’arte dell’attore». La peculiarità della manifestazione, diretta da Leonardo Lidi, sta nella coincidenza feconda tra il santo che dà il nome alla cittadina in provincia di Macerata, e il santo «protettore» dell’arte teatrale (per molti anni nel secolo scorso un premio a lui intitolato veniva assegnato da una giuria dei critici più influenti della grande stampa a una particolare personalità che ai palcoscenici avesse dato lustro).
OGGI QUI su queste bellissime montagne, a un passo dall’Adriatico, l’elemento teatrale si salda in maniera stretta con la ricostruzione (dei fabbricati e insieme di una identità civile) dopo il terribile terremoto del 2016 che devastò il centro Italia. La spinta alla rinascita è stata forte, e l’illuminata amministrazione locale ha provveduto insieme alla puntellatura ferrea delle costruzioni e al loro restauro, a fare nello stesso tempo del paese un luogo di accoglienza e propulsione per il teatro di cui il santo eponimo è protettore.
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Invocando l’attesa rinascita, il teatro e le ferite della terra a San GinesioMA NELLA programmazione vera e propria del festival, si sono affermati con grande successo due attori/creatori già ben noti al pubblico italiano, Filippo Timi e Roberto Latini. Quest’ultimo è universalmente riconosciuto per la varietà delle sue capacità tecnico/attoriali. Nelle sue ultime performance anzi la tecnologia di scena aveva quasi rischiato di sopravanzare le doti interpretative (Gianluca Misiti è il suo responsabile musicale, e alla consolle dispone di un bravissimo Max Mugnai), mentre la sua dizione veniva accusata di eccessivo carmelobenismo. Questa volta invece l’equilibrio è perfetto, anche nel rapporto tra cultura classica e fanta tecnologia. Venere e Adone è il titolo, e le emozioni sono per l’amore contrastato e contraddittorio tra quelle due mitologiche figure, narrate da Ovidio e Shakespeare, oltre che dai pittori di ogni classicità. L’amore tra la bellezza divina e quella umana è il cuore della partita che Latini gioca sulla scena, dove in maniera magistrale risaltano le tecniche dell’ attore/ regista. Quel mitico e impossibile amore prende voce e forma da parole e suoni con cui Latini ci conduce. La sua è dolcezza mista a ironia, così che non si possa non restarne coinvolti. Con la brillante invenzione finale del robottino di forma canina, telecomandato ma che non disdegna di impazzire con rarefatta sapienza elettronica. Una bella tappa nel percorso di Latini.
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Nel circo di Filippo TimiLo stacco è feroce con il brano successivo di Koltès da La solitudine nei campi di cotone, quella misteriosa contrattazione tra due creature la cui posta non è sesso né droga né affari, quanto semmai il potere che una creatura può esercitare (o fagocitare) sull’altra. Lo spettacolo prosegue, nella sua apparente disinvoltura generazionale, con delle fitte che si fanno sempre più dolorose. E lo scenario di quelle giovani esistenze dietro l’apparenza vitalistica, rimane perturbante. Anche per Timi una sorta di processo di concentrazione, che ne accentua l’interesse del lavoro.
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