Cpr, i medici possono impedire che i migranti vengano imprigionati
L'appello La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm), l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e la rete «Mai più lager – mai più CPR» si rivolgono ai sanitari che firmano l'idoneità alla detenzione
L'appello La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm), l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e la rete «Mai più lager – mai più CPR» si rivolgono ai sanitari che firmano l'idoneità alla detenzione
Arriva sulle pagine del prestigioso British Medical Journal la campagna che invita i sanitari italiani a non dichiarare i migranti «idonei» alla detenzione nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’appello è lanciato dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm), dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e dalla rete «Mai più lager – mai più Cpr». La pubblicazione su una rivista scientifica di grande importanza certifica che la campagna tocca aspetti fondamentali della bioetica medica. E che la detenzione dei migranti rappresenta un’emergenza sanitaria riconosciuta a livello internazionale.
Nel percorso che conduce i migranti nei Cpr, i sanitari hanno un ruolo cruciale. «In Italia, quando si entra in un centro di detenzione, le persone devono sottoporsi a una valutazione clinica effettuata da un medico del Servizio sanitario nazionale», spiega l’appello. «Negli anni, questa valutazione si è trasformata in un nulla osta amministrativo alla detenzione che esclude solo il rischio di malattie contagiose senza una valutazione approfondita dello stato generale di salute della persona».
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In carcere perché «scafista» ma la lista dei testimoni non c’èLa procedura, spiegano medici e giuristi, appare problematica da più punti di vista. Innanzitutto, molti studi dimostrano come la detenzione stessa provochi l’insorgenza di patologie ma il medico che compie la valutazione ha poco tempo a disposizione, non conosce il background sanitario della persona, le condizioni in cui sarà detenuto e i servizi sanitari che avrà a disposizione nel centro. Inoltre, le norme internazionali prevedono che ogni visita medica si effettui sulla base di un consenso informato «ma le leggi italiane attualmente non lo prevedono per i migranti destinati alla detenzione».
Infine, i medici hanno il dovere deontologico di proteggere le persone vulnerabili, «in particolare quando ritengono che le condizioni in cui vivono non sono adeguate a proteggerne salute, dignità e qualità della vita». A causa della dichiarazione di idoneità alla detenzione rischiano gli stessi medici: nel caso di patologie insorte successivamente, la valutazione potrebbe essere contestata e lo stesso medico potrebbe andare incontro a un procedimento legale.
Non è un’eventualità remota, come dimostra il caso recente di Ousmane Sylla, il ventiduenne originario della Guinea suicidatosi nel Cpr di Ponte Galeria alle porte di Roma dove era stato trasferito nonostante se ne conoscessero disagio psichico e rischio di autolesionistico. «Questo caso chiarisce l’urgenza di denunciare le condizioni inadeguate di queste strutture, che espongono le persone detenute a seri rischi di salute o a morte prematura», commenta la lettera.
Il problema non riguarda solo l’Italia. Anche nel Regno Unito gli abusi sui migranti da parte delle autorità sono uno dei principali temi di discussione nella politica britannica. Lo dimostra un analogo appello contenuto nello stesso numero del British Medical Journal proveniente dall’Associazione dei Medici del Regno Unito, che chiede l’abolizione dei centri di detenzione per migranti, definiti una «disgrazia nazionale» da sostituire con «strumenti di monitoraggio più umani».
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