Rivoluzione zapatista e molto altro ancora
Messico Il 17 novembre 1983 il primo accampamento ribelle nella Selva Lacandona inaugurava la lotta degli indigeni del Chiapas per «un mondo capace di contenere tanti mondi». Storia complessa dell’EZLN e del comandante Marcos, che oggi "rivive"
Messico Il 17 novembre 1983 il primo accampamento ribelle nella Selva Lacandona inaugurava la lotta degli indigeni del Chiapas per «un mondo capace di contenere tanti mondi». Storia complessa dell’EZLN e del comandante Marcos, che oggi "rivive"
Il mondo scoprì l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale il primo gennaio del 1994 quando donne e uomini indigeni, con il volto coperto da passamontagna, occuparono militarmente sette città dello stato del Chiapas. Avevano fucili di legno, divise e scarponi.
Quel giorno il comandante Felipe, l’unico senza passamontagna, lesse nello Zócalo di San Cristóbal de Las Casas la dichiarazione di guerra mentre un uomo, più alto degli altri, meticcio, rilasciava interviste ai pochi giornalisti e alle poche giornaliste presenti. Quella persona, senza ancora il cappello verde con tre stelle rosse sulla testa, si faceva chiamare Subcomandate Marcos. Il cappello che poi indosserà era quello del suo pari ruolo, Pedro, morto durante la presa del comune di Las Margeritas.
LA STORIA DELL’EZLN ha però inizio dieci anni prima, il 17 novembre del 1983, quando sei persone, cinque uomini e una donna (tre indigeni e tre meticci), inaugurarono il primo accampamento nella Selva Lacandona.
Lo zapatismo era l’evoluzione di quanto iniziato a Monterrey negli anni ’60: le Fuerzas de Liberación Nacional, organizzazione clandestina ispirata alla rivoluzione cubana composta da nuclei guerriglieri di matrice marxista-leninista. All’inizio degli anni settanta le FLN vennero distrutte da una violenta rappresaglia dello Stato che uccise, arrestò e fece sparire molti rivoluzionari.
Chi sopravvisse si mosse in silenzio, lontano dalle città. Nel 1992 le sei persone divennero migliaia, con decine di comunità indigene del Chiapas che si riunirono per cercare il momento giusto per sollevarsi contro lo Stato, il capitalismo e costruire «un mondo capace di contenere molti mondi».
MARCOS ARRIVÒ DOPO, nel 1984. Nel 1986 divenne capitano, poi uno dei tre subcomandanti in carica durante gli anni d’addestramento, quindi – dopo il 1° gennaio del 1994 – icona senza volto di una sinistra mondiale che grazie all’impulso indigeno iniziava a guardare al pianeta con nuovi sguardi provando a far esodo delle ideologie novecentesche e sperimentando modalità di comunicazione e creazione di immaginari innovativi, sfruttando al meglio l’avvento di internet.
Marcos morì una prima volta il 25 maggio 2014 e divenne Galeano in memoria del maestro zapatista José Luis Solís López “Galeano”, ucciso dai paramilitari. La sua “morte” aprì una nuova fase dell’EZLN, come annunciò lo stesso Marcos:
C’è stato un avvicendamento molteplice e complesso. Alcuni hanno notato solo il fattore evidente: quello generazionale. (…) Ma alcuni studiosi non hanno notato altri avvicendamenti. Quello di classe: dall’originale classe media istruita all’indigeno contadino. Quello di razza: dalla dirigenza meticcia alla dirigenza nettamente indigena. E il più importante, l’avvicendamento di pensiero: dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare ubbidendo; dalla presa del Potere dall’Alto alla creazione del potere dal basso; (…) dall’emarginazione di genere, alla partecipazione diretta delle donne; dallo scherno per l’altro, alla celebrazione della differenza.Subcomandante Marcos
A 40 ANNI DELLA NASCITA e a poche settimane dai primi 30 anni di rivoluzione, l’EZLN ha ripreso parola dopo mesi di silenzio aprendo a nuovi cambiamenti: uno tra questi è quello del ruolo di Marcos, tornato al suo nome storico e al grado di capitano. La sua seconda morte significa una nuova fase di lotta.
La redazione consiglia:
Il Subcomandante Marcos torna in scena, ma ora è «capitán»L’EZLN, anni prima della battaglia di Seattle contro il Wto o delle moltitudini di Genova contro il G8, ha mostrato subito al mondo la necessità di criticare il neoliberismo e così il capitalismo e il suo paradigma dominante. Non a caso l’inizio della lotta coincide con l’entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio per il Nord America (NAFTA): una vera «dichiarazione di guerra» all’essere indigeni.
Il successo dell’EZLN iniziò però qualche anno dopo la sua fondazione, come raccontò lo stesso Marcos nel 2003 in un comunicato che descriveva le sette tappe di passaggio dal primo accampamento all’inizio dell’insurrezione:
In quella che chiamiamo quarta fase sono avvenuti i primi contatti con le comunità indigene. Iniziammo parlando a uno e poi quello ha parlato con la sua famiglia. La notizia usciva dalla casa e coinvolgeva la comunità. Da una comunità all’altra. Così, a poco a poco, la nostra presenza è diventata il segreto di Pulcinella e quindi una cospirazione di massa. In questa tappa, che corre parallela nel tempo alla terza, l’EZLN non era più quello che avevamo pensato al nostro arrivo. Ormai eravamo stati sconfitti dalle comunità indigene e, in seguito a quella sconfitta, l’EZLN cominciò a crescere geometricamente e a diventare “molto altro”, cioè la ruota continuò ad ammaccarsi finché, finalmente, divenne rotonda e poté fare quello che deve fare una ruota, ovvero, rotolare.Subcomandante Marcos
L’EZLN si era trasformato in un movimento armato che esigeva diritti universali, la valorizzazione delle differenze e il rispetto dell’essere diversi.
IL SUCCESSO E LA CRESCITA si devono anche al lavoro svolto dalla diocesi di San Cristóbal guidata da Don Samuel Ruiz. Il vescovo spinse il mondo indigeno a prendere coscienza dei propri diritti e favorì la nascita di organizzazioni per la difesa dei diritti umani e di formazione per le popolazioni originarie. Furono proprio alcuni diaconi e catechisti indigeni a cogliere, per primi, l’importanza e la rilevanza dell’opzione agitata da quel manipolo di sognatori entrati nella Selva nel 1983.
La leggenda dice che Don Samuel Ruiz provò a evitare la via armata ma, uscendo sconfitto dal dibattito delle comunità, si trasformò nel più attivo mediatore per la pace con il governo.
Legare la storia dell’EZLN solo alla figura di Marcos sarebbe però un errore politico. L’uomo dietro al passamontagna è strumento di una storia ben più stratificata e che basa la sua forza sulla militanza quotidiana di decine di migliaia di donne e uomini che, nell’anonimato, portano avanti l’esperienza dell’autonomia indigena, proposta di alternativa sistemica che trova similitudini con l’idea del confederalismo democratico nata dal movimento di liberazione curdo.
LIBERARE LA COMPLESSITÀ zapatista dalla figura di Marcos è pratica de-coloniale che farebbe leggere una lunga storia di lotta, ragionamenti, vittorie, ma anche errori e silenzi ben oltre la figura rassicurante (ma patriarcale) dell’uomo forte e del portavoce. Liberarsi del Marcos–centrismo regalerebbe sfumature e insegnamenti utili per chi vuole una politica orizzontale.
Spesso l’EZLN ha provato a farlo non solo uccidendo più volte il “personaggio” Marcos, ma cambiandogli ruolo e a volte allontanandolo da penna e microfoni per mostrare al mondo occidentale, mondo che parallelamente a quello indigeno sono i referenti a cui si è rivolto l’EZLN, i cambiamenti di fase.
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