L’influenza degli uccelli si è diffusa anche tra le mucche da latte, almeno negli Usa. Da marzo il temuto virus H5N1 è stato rilevato nelle mandrie di nove Stati americani, in un’area vastissima compresa tra l’Idaho e il North Carolina. Ma non è un film western coi cow boy che difendono il bestiame a colpi di fucile. Anzi, chi rischia di più sono proprio loro, i mandriani. Uno si è già ammalato in Texas, senza conseguenze gravi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il rischio rappresentato dal virus H5N1 al momento è da ritenersi «basso».

Il virus non avrebbe ancora fatto il salto di specie definitivo, quello che lo rende trasmissibile da umano a umano. Ma se l’influenza (ex-)aviaria si è adattata ai mammiferi potrebbe essere solo questione di tempo. In Europa finora il ceppo bovino non è stato rilevato ma i sistemi di sorveglianza hanno drizzato le antenne. L’Italia, tanto per cambiare, è indietro sulla prevenzione. Se un nuovo virus arrivasse oggi, per esempio, ci sorprenderebbe senza un piano pandemico.

Successe anche nel 2020: quando il Covid-19 devastò la Lombardia si scoprì che il piano esistente era inutilizzabile dato che il ministero non lo aggiornava da anni. Dopo quella figuraccia mondiale, i tecnici dell’ex-ministro Roberto Speranza ne hanno approntato uno per il triennio 2021-2023. Ma adesso anche quello è scaduto e l’aggiornamento per il quadriennio 2024-2028 giace da tre mesi nei cassetti della Conferenza Stato-Regioni in attesa dell’approvazione definitiva. Resta infatti da sciogliere il nodo economico.

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La bozza prevede il rafforzamento dei dipartimenti di prevenzione e della rete diagnostica e le Regioni chiedono al governo fondi ad hoc per non essere costrette a pescare dal proprio bilancio, dato che i risicati investimenti in sanità del governo Meloni bastano appena a finanziare l’esistente. In attesa di una soluzione, all’Italia manca un manuale di istruzioni a cui fare riferimento in caso di emergenza.

L’altro pilastro della capacità di risposta italiana si chiama «Centro Nazionale Anti-Pandemico». Sarebbe dovuto nascere all’interno del biotecnopolo di Siena, una nuova fondazione pubblica dedicata allo sviluppo di vaccini e anticorpi monoclonali, e avrebbe dovuto lavorare in rete con Francia e Germania. Per il biotecnopolo il governo Draghi aveva stanziato ben 340 milioni di euro nel 2022. La guida della struttura era stata affidata al direttore scientifico Rino Rappuoli, uno dei maggiori esperti di vaccini al mondo e nel consiglio scientifico della fondazione sono stati inseriti nomi prestigiosi, a partire dal Nobel Giorgio Parisi. A un anno e mezzo dal varo, tuttavia, il biotecnopolo però non è ancora partito.

Il governo Meloni ha voluto riscriverne lo statuto prima ancora che diventasse operativo e la revisione è ancora in corso: ne discutono da mesi i quattro soci fondatori, cioè i ministri Schillaci (salute), Giorgetti (economia), Bernini (ricerca) e Urso (made in Italy). Nelle more, il direttore amministrativo della fondazione non è mai stato nominato. In ogni caso avrebbe vita breve perché il nuovo statuto, quando entrerà in vigore, prevede invece un direttore generale. Nell’attesa dei quattro litiganti il quinto ministro interessato, quello del Pnrr Raffaele Fitto, ha decurtato la dotazione del biotecnopolo di 135 milioni di euro (quasi il 40%) finora rimasti inutilizzati, nel quadro della rimodulazione del Piano. Spazientito, Rappuoli a fine febbraio ha dato un ultimatum: se il centro non parte me ne torno negli Usa.

La scadenza potrebbe essere vicinissima. «Non ci sono novità in ambito scientifico» è tutto ciò che fa filtrare da Siena lo scienziato e non promette nulla di buono. Senza un piano pandemico né un centro dedicato, un nuovo virus coglierebbe l’Italia impreparata, a oltre quattro anni dallo scoppio dell’epidemia Covid-19 che rivelò drammaticamente la nostra fragilità. Per fortuna, in soccorso arriverebbe l’ancora di salvezza europea.

All’Agenzia del Farmaco di Amsterdam ci sono quattro vaccini anti-influenza già autorizzati. In caso di necessità, l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze nata durante la crisi Covid potrebbe disporre un acquisto congiunto di vaccini e antivirali che scongiurerebbe la corsa suicida all’accaparramento delle dosi da parte dei vari governi nazionali.

Per adattare i vaccini al nuovo virus basterebbero quattro mesi e nel giro di un anno si potrebbero produrre circa otto miliardi di dosi. Sembrano tantissime, ma se servissero due a testa solo metà della popolazione mondiale verrebbe protetta. Per scoprire quale metà rimarrà scoperta, basta vedere com’è andata col coronavirus. Molto dipenderà dalle prossime elezioni europee: se la prossima Commissione premierà la destra estrema, che in tutta l’Unione ha strizzato l’occhio ai No Vax, il sovranismo vaccinale e la chiusura dei frontiere potrebbero impedire ogni cooperazione sovranazionale. È la soluzione preferita dai virus, che dei confini nazionali non sanno cosa farsene.