Il mondo scoppia di grasso. Anzi, la bomba calorica è già fra di noi: pure in Italia. Le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, diramante in occasione del World Obesity Day, lo scorso 4 marzo, contano oltre 1 miliardo di obesi. Si tratta di un’epidemia globale che colpisce indistintamente tutti i paesi: non a caso si definisce globesity, obesità globale. Le prospettive non sono delle migliori, almeno stando alle stime del World Obesity Atlas 2023: se si confermeranno le tendenze attuali fra poco più di 10 anni il 51% della popolazione mondiale, oltre 4 miliardi di persone, vivrà in sovrappeso o con obesità. Mentre l’impatto economico globale del sovrappeso e dell’obesità potrà superare i 4 trilioni di dollari annui, quasi il 3% del PIL globale. Più o meno l’impatto prodotto dal Covid-19 nel 2020.

GLI STATI UNITI SONO IL PARADIGMA della situazione nei paesi sviluppati. Il 31% degli americani sono in sovrappeso, il 41% sono obesi. A oggi la spesa sanitaria giornaliera per le patologie legate a sovrappeso e obesità ammonta a 360 milioni dollari, mentre il costo sostenuto dagli americani per programmi che fanno perdere peso è pari a 102 milioni di dollari (al giorno) (Worldometer, 8.4.2024). Le azioni delle case farmaceutiche che producono farmaci per la «magrezza» salgono alle stelle. Insomma, si spende di più per curare le malattie e per mettersi a dieta che per mangiare. Assurdo.

OSSERVANDO I DATI GLOBALI sull’alimentazione si nota come la bilancia penda dove il peso aumenta. A fronte di 877 milioni di persone che sono denutrite ci sono 1,7 miliardi di persone sovrappeso di cui 852 milioni obese (Worldometer, 8.4.2024). Come dire che denutriti e ipernutriti più o meno si equivalgono.

L’ITALIA NON SE LA PASSA MEGLIO. Dai dati che emergono dalle «Linee di indirizzo per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell’obesità» del Ministero della Salute emerge quanto la questione sia grave. Ad esempio la prevalenza del sovrappeso e dell’obesità nei bambini: nel 2019, il 20,4% dei bambini della III classe della scuola primaria in Italia era in sovrappeso e il 9,4% obeso. Esiste poi un trend geografico che evidenzia valori più elevati di eccesso ponderale nelle regioni del Sud. Mentre le prevalenze di obesità sono più elevate nelle famiglie con condizioni socio-economiche svantaggiate e con genitori sovrappeso/obesi.

RISPETTO A FAME E SAZIETÀ IN POCHI ANNI è cambiato lo scenario e anche l’immaginario collettivo, almeno della generazione dei boomers. La fame nel mondo, chi mangia troppo poco, rimane un problema rilevante e non risolto. Ma, numericamente, conta molto di più chi invece mangia troppo. Per fare un raffronto a livello italiano, la denutrizione si è mantenuta ad un valore minore di 2.5% negli ultimi vent’anni mentre l’obesità nella popolazione adulta si attesta al 19,9% in Italia (Fao, 2023)

SIA CHIARO, L’OBESITÀ È UNA PATOLOGIA e come tale va trattata considerando le diverse cause e senza cadere nello stigma. Nel nostro caso ogni riferimento è legato alle cause di origine alimentare e in particolare alla malnutrizione. Ed è proprio questo il termine che si usa per fare riferimento al mangiare, troppo o troppo poco.

PIÙ PRECISAMENTE, LA MALNUTRIZIONE si riferisce a carenze, eccessi o squilibri nell’assunzione di energia e/o nutrienti da parte di una persona. Il termine copre due ampi gruppi di condizioni patologiche: da una parte il «difetto» porta arresto della crescita, deperimento, sottopeso e carenze o insufficienza di micronutrienti, dall’altra l’«eccesso» porta le malattie non trasmissibili legate alla dieta (come malattie cardiache, ictus, diabete e cancro).

INOLTRE LA MALNUTRIZIONE PER ECCESSO, ovvero quando una persona consuma più cibo di quanto necessario o se il cibo consumato è ad alto contenuto calorico, ma povero di nutrienti essenziali, può essere considerato uno spreco, detto spreco alimentare metabolico. In questi casi, il corpo può immagazzinare gli eccessi di nutrienti sotto forma di grasso corporeo, mettendo a rischio anche la salute.

NEL NOSTRO PAESE, come recentemente riportato nelle indagini dell’Osservatorio Waste Watcher International (2024), emerge un forte e preoccupante collegamento fra povertà, malnutrizione, insicurezza e spreco alimentare. La povertà alimentare, ma qui ora il riferimento più appropriato è alla cosiddetta insicurezza alimentare – cioè lo stato in cui le persone non soddisfano il fabbisogno nutrizionale per mancanza di accesso fisico, economico o sociale ad un’alimentazione adeguata – e la povertà economica sono strettamente correlate, essendo il reddito, in un paese sviluppato come l’Italia, uno dei fattori principali per garantire l’accesso al cibo e di conseguenza a una dieta adeguata. In Italia, nel 2022, sono presenti il 5,7% di persone (3.4 milioni di persone) che si trovano in una situazione di insicurezza alimentare moderata o severa sul totale della popolazione (Fao, 2023)

L’ANALISI COMPARATIVA tra l’insicurezza alimentare attuale e le proiezioni future evidenzia dinamiche interessanti e significative. Attualmente, l’insicurezza alimentare è più marcata nel Sud rispetto al Nord e al Centro, con un aumento del 26% rispetto alla media nazionale. Le aree rurali mostrano un aumento significativo del 66%, evidenziando una vulnerabilità particolare nelle comunità meno urbanizzate. Dal punto di vista socio-economico, il ceto popolare è quello maggiormente colpito, con un aumento del 280%. Proiettando questi dati sui prossimi 12 mesi, emerge un ulteriore aggravamento delle disparità. Nel Sud, l’insicurezza alimentare aumenterebbe addirittura del 27%, suggerendo una crescente criticità nella regione. Anche nelle aree rurali si prevede un ulteriore aumento significativo del 65%, accentuando le sfide nelle comunità meno urbanizzate. Dal punto di vista socio-economico, il ceto popolare è ancora una volta proiettato a subire l’impatto più significativo, con un aumento del 235% nell’insicurezza alimentare nei prossimi 12 mesi.

AL CONTRARIO, IL CETO MEDIO PREVEDE un ulteriore calo del 63%, sottolineando la persistente disuguaglianza nell’accesso al cibo. In termini geografici, le città mostrano una previsione di diminuzione del 12%, ma le zone urbane o suburbane evidenziano una stabilizzazione, mentre le aree rurali prevedono un aumento del 65%, confermando le tendenze osservate nell’attuale contesto. In sintesi, questi dati suggeriscono che le attuali disparità geografiche e socioeconomiche nell’insicurezza alimentare in Italia potrebbero intensificarsi nei prossimi 12 mesi, accentuando le sfide nelle regioni meridionali, nelle aree rurali e tra il ceto popolare. Questa analisi sottolinea l’importanza di interventi mirati per affrontare le specificità di ciascun contesto e garantire un accesso equo e sicuro al cibo per tutta la popolazione (dati WWI, 2024).

INFINE, I CETI MENO ABBIENTI della popolazione, quelli più colpiti dalla crisi economica e dall’inflazione alimentare, paradossalmente sprecano di più rispetto agli altri. Lo spreco è addirittura «doppio». Nel senso che l’abbassamento della qualità dei prodotti alimentari acquistati porta a uno spreco quantitativo, ad esempio la frutta e la verdura in offerta prossima al deterioramento, mentre il consumo di alimenti poco costosi, ma di basso valore nutrizionale (spreco metabolico) si riflette sul peggioramento della dieta e quindi della salute con i relativi costi sanitari (WWI, 2024).

ALTRIMENTI DETTO la bomba calorica sta scoppiando anche in Italia, proprio dove meno te l’aspetti.