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Farmaci, divieto di sofferenza animale

Una cavia da laboratorioUna cavia da laboratorio

Materia oscura In Svizzera un referendum ha affrontato la scottante questione scientifica, l'Italia è molto sensibile al tema, mentre alcune associazioni temono lo stop sulle ricerche nell'ambito delle malattie neurodegenerative

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 15 novembre 2024

Si può fare ricerca farmaceutica senza far soffrire gli animali? È una domanda che ci poniamo tutti, non solo gli scienziati e gli animalisti. L’ovvia repulsione per l’uso di cavie, topi, maiali e primati in laboratorio viene messa a confronto con i benefici che ne derivano per l’essere umano. Sperimentare i farmaci sugli animali consente, sostengono i fautori, la prevenzione degli effetti collaterali sugli umani. Decenni di battaglie animaliste in tutto il mondo però hanno sortito qualche effetto.

Dal 2010, una direttiva europea impone il rispetto del «principio delle 3R»: le sperimentazioni animali devono spiegare come intendono sostituire, ridurre e perfezionare – in inglese replace, reduce and refine – l’uso degli esseri viventi in laboratorio.

PER GLI ANIMALISTI non basta: il comitato svizzero Ja zur tierversuchsfreien Zukunft («Sì a un futuro senza sperimentazioni animali») segnala che il 95% delle sperimentazioni animali non conduce ad alcun farmaco e che la maggior parte degli effetti collaterali non viene prevista in laboratorio. Il comitato ha raccolto un numero sufficiente di firme per indire un referendum sullo stop alla sperimentazione animale in Svizzera.

L’ULTIMO sullo stesso tema si è tenuto nel 2022 e solo il 20% ha votato contro i test. Anche se le probabilità di successo del referendum sono esigue, il dibattito spaventa gli scienziati perché alla ricerca farmaceutica è legata una fetta importante dell’economia elvetica. Tanto è vero che la Fondazione nazionale per la ricerca scientifica svizzera ha subito avvertito che il divieto alla sperimentazione avrebbe «un impatto significativo sul ruolo della Svizzera come centro di ricerca e innovazione».

Il tema sarà presto di attualità anche in Italia. Nell’Ue l’Italia è il Paese più solidale con la causa animalista e nel recepire la direttiva Ue ha aggiunto ulteriori divieti alla sperimentazione sugli xenotrapianti e sulle sostanze di abuso, e all’allevamento di cani e primati, modificando la norma al punto da finire sotto procedura di infrazione europea.

TRA LE CONSEGUENZE  dei divieti, ha scritto pochi giorni fa il sito «Scienza in rete», c’è il freno alla ricerca su disturbi neurologici o psichiatrici, su malattie come l’Alzheimer o sulla terapia del dolore. Per legge tutte le sostanze che possono raggiungere il cervello devono infatti essere testate per il loro potenziale di abuso. Per le proteste dei ricercatori e per la minaccia europea, il divieto ai test stato rimandato al luglio 2025. Il governo Meloni deve decidere se il tema rientrerà nel prossimo decreto «milleproroghe».

In un intervento a più firme sul numero di ieri della rivista Science, i farmacologi della Food and Drug Administration hanno forse suggerito una via d’uscita dall’impasse. Le alternative alla sperimentazione animale esistono, danno risultati promettenti e in alcuni (pochi) casi sono già state utilizzate dall’agenzia regolatoria statunitense nella valutazioni dei farmaci. Gli «organoidi», ad esempio, simulano in laboratorio la complessità degli organi «veri» mescolando tessuti biologici e microchip.

DURANTE LA PANDEMIA, per la necessità di accelerare le ricerche, l’informatica ha aiutato a prevedere l’impatto clinico degli antivirali approvati con le sperimentazioni tradizionali. Si punta però soprattutto sull’intelligenza artificiale per esaminare al computer il potenziale terapeutico dei farmaci e restringere le sperimentazioni di laboratorio solo a quelle «approvate» dagli algoritmi, riducendo così la necessità di effettuare le sperimentazioni sugli animali.

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