Il primo taglio alle prestazioni non aspetta: meno asili nido
State serenissimi Obiettivo dimezzato rispetto a quanto previsto nel 2022. L’ Istat certifica che nel 2021 solo il 7% dei bambini ha avuto accesso al servizio in Campania contro il 35% in Toscana. Nelle strutture pubbliche la percentuale scende al 4% e al 20%
State serenissimi Obiettivo dimezzato rispetto a quanto previsto nel 2022. L’ Istat certifica che nel 2021 solo il 7% dei bambini ha avuto accesso al servizio in Campania contro il 35% in Toscana. Nelle strutture pubbliche la percentuale scende al 4% e al 20%
Si è aperta la stagione dei saldi per i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Abbiamo già descritto la strategia seguita dal Comitato Cassese per non intralciare il percorso dell’autonomia differenziata: procedere alla determinazione dei Lep nel modo più indolore possibile, replicando lo status quo della spesa storica e delle differenze territoriali nella tutela dei diritti di cittadinanza.
Attraverso la longa manus della Commissione tecnica sui fabbisogni standard, questa strategia sta prendendo forma e vanno lette in questa chiave le proposte di collegare i fabbisogni finanziari al costo della vita, di ridimensionare l’offerta scolastica al Sud, di negare il diritto per gli studenti meridionali di fruire del tempo pieno nella stessa misura dei loro coetanei nel resto del Paese.
LA NOSTRA FANTASIA non si era spinta a immaginare che l’operazione al ribasso potesse riguardare anche un Lep pienamente operativo e scollegato con l’autonomia differenziata, poiché relativo a funzioni già locali. Stiamo parlando dell’obbligo di assicurare in ogni Comune un’offerta di posti in asilo nido almeno pari al 33 per cento dei bambini fra 3 e 36 mesi. Il Lep sugli asili nido è stato introdotto dalla legge di bilancio per il 2022, che ha individuato un percorso di convergenza graduale per la sua realizzazione e stanziato le risorse necessarie a coprire i costi di gestione anno per anno del servizio (1,1 miliardi a partire dal 2027). Gli investimenti infrastrutturali sono stati invece inclusi nel Pnrr, che ha destinato ai servizi educativi per la prima infanzia 3,2 miliardi e previsto la realizzazione di 150.480 posti in asili nido entro la metà del 2026 (inizialmente 4,6 miliardi e 264.000 posti, prima del taglio deciso dall’ex ministro Fitto).
Perché tanta enfasi sugli asili nido? In un paese che invecchia rapidamente come l’Italia i servizi per la prima infanzia sono un presidio fondamentale per contrastare il calo delle nascite. I primissimi anni di vita sono inoltre cruciali per lo sviluppo degli apprendimenti lungo l’intero percorso scolastico e per l’accumulazione di capitale umano (come dimostrano gli studi del premio nobel J. Heckman). Infine le madri che iscrivono i propri figli a un asilo nido hanno maggiori probabilità di trovare lavoro.
Questi effetti sono particolarmente significativi per le famiglie che vivono in condizioni svantaggiate ed è quindi cruciale che il servizio di asilo nido sia erogato da strutture pubbliche. Gli ultimi dati dell’Istat certificano che nel 2021 solo 7 bambini su 100 hanno avuto accesso all’asilo nido in Campania, contro 35 in Toscana; i bambini che hanno potuto frequentare strutture pubbliche sono rispettivamente 4 e 20 nelle due regioni: è come dire che per lo Stato italiano un bambino campano vale un quinto di un bambino toscano. L’introduzione del Lep sugli asili nido rappresenta quindi un traguardo di civiltà per rimuovere discriminazioni territoriali ingiustificabili.
TRA LE MILLE DIFFICOLTÀ legate alla realizzazione del Piano asili nido del Pnrr, hanno iniziato a fiorire esperienze positive e incoraggianti. Come quella della Città metropolitana di Reggio Calabria che in pochi anni ha finanziato l’apertura di nove strutture per la prima infanzia, innalzando l’offerta pubblica di asili nido da 0 ai 355 posti previsti nel 2025.
Iniziative come quella citata rischiano però di rimanere isolate. Nelle pieghe degli allegati al Piano strutturale di bilancio (Psb) il progetto di ampliamento dell’offerta di asili nido viene infatti riformulato in una versione molto annacquata. Nei confronti delle istituzioni europee il governo si impegna a garantire entro la fine del 2027 una disponibilità di posti in asilo nido pari ad almeno il 33 per cento degli aventi diritto nella media nazionale e al 15 per cento a livello regionale; contestualmente la spesa corrente per il funzionamento del servizio sarà incrementata di almeno il 20 per cento rispetto al 2021.
A ben vedere si tratta di un ridimensionamento drastico del Lep previsto dalla legislazione vigente, che prevede obiettivi molto più stringenti (l’asticella del 33 per cento vale per il singolo ente), un orizzonte temporale più ristretto (la scadenza indicata nel Pnrr è la metà del 2026) e finanziamenti – che se pienamente utilizzati – consentirebbero a regime quasi di raddoppiare la spesa corrente rispetto al 2021.
Siamo di fronte a un dissimulato taglio a chi sostiene gli sforzi maggiori per riequilibrare l’offerta di asili nido, ossia i Comuni del Sud e quelli delle aree interne? A pensare male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. Questo doppio binario di regole – quello più blando per il quale ci mettiamo la faccia con le istituzioni europee e quello più ambizioso formalmente in vigore nel nostro ordinamento – fa cadere la maschera su quanto poco il governo nazional-leghista sia disposto a scommettere sulla convergenza dei diritti fra le diverse aree del Paese. E lancia un fosco presagio su quanto è lecito attendersi dalla determinazione dei Lep che schiuderà definitivamente i cancelli all’autonomia differenziata.
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