Se il prossimo 5 novembre Donald Trump verrà rieletto, e con lui il fascismo dilagherà negli Stati Uniti, i cittadini americani dovranno ringraziare le loro reti televisive avide di ascolti, che dal 1960 in poi hanno inventato i dibattiti fra i due principali candidati alla presidenza, creando una perversione della democrazia che prima o poi doveva approdare alla catastrofe politica che sembra ormai inevitabile dopo il dibattito fra Biden e Trump di giovedì sera. Come ci si è arrivati?

Era stato Arthur Miller, uno che di recitazione se ne intendeva avendo scritto decine di opere teatrali, ad accusare i giornalisti di ignorare completamente la sostanza delle questioni politiche nei dibattiti: “La stampa americana è costituita di critici teatrali travestiti; la sostanza conta quasi zero rispetto allo stile e a una caratterizzazione fantasiosa. Il punto è la forza di persuasione della persona, non quello di cui ci sta persuadendo”. Mai queste parole del 2001 sono apparse vere quanto due giorni fa dopo il dibattito fra Joe Biden e Donald Trump. Venerdì mattina l’intero corpo dei media Usa aveva già emesso la sentenza: Biden deve ritirarsi perché troppo vecchio e rimbambito. Quello che tutta la stampa americana, dai nostri amici di The Nation ai pretoriani trumpisti di Fox News, ha rimproverato a Biden è di essere stato incapace di tenere la scena e offrire una performance “presidenziale”.

Certo, Biden ha mostrato la sua età, il che non avrebbe dovuto essere una sorpresa, visto che tutti conoscono la sua data di nascita (1942). Ha fatto una gaffe dicendo che i democratici hanno «sconfitto il Medicare», il programma di assistenza sanitaria per gli anziani invece di dire che hanno sconfitto «i tentativi dei repubblicani di eliminare Medicare». O forse voleva riferirsi alla pandemia. Ma nessuno, dal New York Times al Wichita Eagle, ha sottolineato a beneficio dei lettori che Trump aveva mentito ininterrottamente per tutti i 90 minuti del dibattito. L’unico tema di discussione è diventato: Biden si ritirerà o non si ritirerà?

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L’obiettivo della telecamera esalta tutto, un fenomeno ben noto fin dal 1960, quando i contenuti politici del dibattito tra Richard Nixon e John Kennedy vennero completamente oscurati dal fatto che Nixon aveva la barba lunga e sudava copiosamente a causa delle luci di scena mentre Kennedy era ben rasato e sembrava molto più giovane (in realtà c’erano soltanto quattro anni di differenza tra i due). Kennedy quindi “vinse” il confronto, benché le sue accuse a Nixon di aver lasciato l’Unione Sovietica accumulare un arsenale nucleare più grande di quello americano fossero completamente false (i bugiardi non sono sempre e soltanto repubblicani). Lo stesso accedde nei dibattiti tra Jimmy Carter e Gerald Ford nel 1976 quando fu una gaffe di Ford a decidere il “vincitore” del match e nel 1980 quando l’attore nato Ronald Reagan surclassò senza fatica l’impacciato Carter.

Non occorre una laurea in scienze della comunicazione per capire che tutto questo accade perché la personalizzazione tipica della politica americana (fare dei candidati e non dei programmi il focus della compagna elettorale) diventa esplosiva, e letale per la democrazia, quando viene trasportata in televisione. Le rughe, le esitazioni, il perdere il filo per un momento cancellano un candidato perché la telecamera ha un occhio assassino. Giovedì sera Trump e Biden si sono scontrati su immigrazione, sanità, politica estera ma tutto è stato dimenticato ancora prima che si spegnessero le luci.

La televisione è stata lo strumento dell’ascesa del berlusconismo in Italia e ora del Trump-fascismo negli Stati Uniti perché si rivolge ai cittadini meno interessati alla politica, meno in grado di valutare i contenuti, più influenzati dallo stile dei candidati. Sempre Henry Miller scrisse: “Davanti alla telecamera, qualsiasi cosa stiate facendo, fatene a meno ed emanate disinvoltura. In altre parole: recitate”. Purtroppo l’inganno fondamentale sta precisamente qui: si recita la parte del leader disinvolto, perché sano di mente e di corpo, quindi sicuro di sé e pronto a guidare il popolo verso più alti destini.

Ciò detto, la dura realtà è che in un paese dove l’ignoranza politica è dominante l’unica cosa che Biden può fare oggi è ritirarsi per amore dell’America a cui ha dedicato tutta la sua vita politica dal 1974 ad oggi. L’intestardirsi nella candidatura trascinerebbe inevitabilmente i democratici alla catastrofe, non solo riportando Trump alla Casa Bianca ma mettendo nelle mani dei repubblicani anche il Congresso, oltre a una corrotta Corte Suprema di cui abbiamo visto questa settimana la sentenza a protezione di chi diede l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021 per mantenere Trump al potere con la forza.