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Ideologia Maga, il patto sociale è stato rimpiazzato dall’odio

Il candidato repubblicano alla presidenza, l'ex presidente Donald Trump, cucina patatine durante una tappa della campagna elettorale presso un McDonald's a Feasterville-TrevoseTrump in un McDonald's a Feasterville-Trevose durante la campagna elettorale – Ap

Trump 2.0 Il cappellino rosso apre le porte di un’utopia reazionaria: promette una comunità basata su un ordine sociale gerarchico e razzializzato. Il patto del sogno americano si basava sullo scambio tra lavoro e sicurezza socioeconomica. In una società strutturalmente ineguale quel sogno è svanito e il sentimento chiave non può che essere l’odio: verso i diversi, i nuovi immigrati, le donne

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 10 novembre 2024

Martedì sera, per sfuggire allo stillicidio dei risultati delle elezioni presidenziali, mi sono andato a guardare il video del discorso di un mio collega, l’economista Robert Reich. Era il 1994 e Reich, allora segretario del lavoro nell’amministrazione Clinton, si dichiarava preoccupato per la fine del sogno americano. Le forze della tecnologia e della globalizzazione, dice Reich, stanno mettendo sotto pressione la classe media, creando una società divisa tra pochi vincitori e una massa di dimenticati.

Ne risultano rabbia, disillusione, e «un risentimento sociale che potrebbe avvelenare la nostra società». E che, oltretutto, è «facilmente manipolabile». Senza un nuovo patto sociale, conclude Reich, i politici avrebbero presto mietuto «l’amaro raccolto della rabbia popolare».

I TRENT’ANNI che ci separano da quel discorso hanno visto il fallimento, a partire proprio dall’amministrazione Clinton, del tentativo di rinnovare il patto tra lavoratori, imprenditori e politica. Al posto del nuovo sogno americano auspicato da Reich e di un allargamento della classe media ad altre realtà sociali, abbiamo assistito a una crescita delle diseguaglianze, amplificata da tecnologie potenti e pervasive.

La politica si è dimostrata incapace di gestire il cambiamento, assecondando la svalutazione e la precarizzazione del lavoro, la degradazione delle condizioni di vita dei lavoratori, i profitti a breve termine e la creazione di monopoli. I due punti chiave di questa vicenda sono la mancata regolamentazione di Silicon Valley negli anni Novanta, e il salvataggio di Wall Street – senza alcuna accountability – dopo la crisi del 2008. Entrambi i passaggi avvengono sotto un’amministrazione democratica. E poi, un martedì sera, ci ritroviamo nell’incubo predetto da Reich.

Ma il secondo mandato di Trump non si spiega solo in termini economici: la politica vive anche di simboli, di orizzonti di senso. Hanno votato per Trump molti maschi working class che, in precedenza, avevano votato per Obama e Biden. Evidentemente hanno trovato qualcosa di convincente in quello che Trump aveva da offrire.

Il che non vuol dire affatto che credano a tutte le sue promesse: alcuni sondaggi hanno mostrato come una parte significativa degli stessi elettori di Trump lo ritenga poco credibile. Ma sicuramente lo trovano radicale, alternativo, il distruttore di un sistema da cui si sentono esclusi. E comunque, al di là delle improbabili promesse economiche, c’è qualcosa di molto importante che Trump sa offrire alla sua base: un’identità e un senso di appartenenza.

Il cappellino rosso MAGA apre le porte di un’utopia reazionaria. Promette una comunità basata su valori tradizionali, tra cui spicca un machismo adolescenziale e un ordine sociale gerarchico e razzializzato. Il patto del sogno americano si basava sullo scambio tra lavoro e sicurezza socioeconomica e il suo sentimento chiave era l’ambizione di appartenere alla classe media: casa, automobile e università per i figli. In una società ormai strutturalmente ineguale quel sogno è svanito e il sentimento chiave non può che essere l’odio: verso i diversi, i nuovi immigrati, le donne.

QUELLO MAGA è un immaginario fortemente misogino, in cui la donna non ha le capacità intellettuali e caratteriali per assumere posizioni di leadership, tanto meno – come si è visto bene in queste elezioni – una donna di colore. Basta rileggersi i volgari insulti lanciati da Trump, Musk, e Vance contro Harris, e più in generale le donne che non incarnano uno stereotipo di subordinazione.

E poi ci sono gli eterni anni Ottanta, che visti da una prospettiva MAGA ricordano molto lo yuppismo omicida di American Psycho, ma senza l’ironia di Ellis. Il vecchio Hulk Hogan che si strappa la maglia sul palco di fianco a Trump e l’oro finto della Trump Tower sono simboli perfetti per un movimento che si nutre di nostalgia per un mondo che va in pezzi proprio in quel periodo. Il riferimento al wrestling è tutt’altro che secondario: ai raduni di Trump, come nel wrestling, tutti sanno che si tratta di una messinscena. Ma il punto non è quello: è stare insieme intorno al ring, per urlare a squarciagola il proprio sostegno all’eroe che combatte contro le forze del male.

Ora: a fronte di questa visione del mondo e questi rituali, che cosa hanno proposto i democratici? Quale visione alternativa? Quale idea di comunità? Temo che la percezione diffusa sia stata che volessero semplicemente difendere lo status quo.

Diceva giustamente David Graeber che, dagli anni Novanta in poi, il centrismo moderato che ha dominato le sinistre occidentali ha promesso, sostanzialmente, business as usual ma con un po’ di burocrazia in più. Non esattamente una visione elettrizzante. Ecco, magari si potrebbe ripartire da qui.

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