La recessione tecnica è rinviata al prossimo anno. E il governo Meloni potrà disporre di qualche risorsa in più venerdì 4 novembre quando rivedrà la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef) varata per la sola parte tendenziale dal governo Draghi. Ieri l’Istat ha comunicato che nel terzo trimestre del 2022 (luglio-settembre) il Prodotto Interno Lordo (Pil) è cresciuto dello 0,5%. Si tratta del settimo trimestre consecutivo in rialzo, frutto del lungo «rimbalzo» avvenuto dopo il disastroso crollo del 2020 (-8,9% del Pil) per Covid. Il dato era atteso negli ultimi giorni ed è il risultato della stagione turistica che è andata particolarmente bene in un paese che si è convertito al terziario povero e all’economia estrattiva che sta amplificando la speculazione urbana e desertificando città e territori. La crescita acquisita per il 2022 è pari al 3,9%.

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L’ISTAT HA AVVERTITO che la crescita sta diminuendo rispetto al secondo trimestre. Lo si vede anche da settori più «pesanti» in questo tipo di valutazioni statistiche come l’agricoltura e soprattutto la manifattura industriale, entrambe colpite dall’aumento dei prezzi energetici e dall’inflazione. Messi in prospettiva sul prossimo anno questi dati possono essere interpretati come l’anticipazione di quanto accadrà nei primi trimestri del 2023 che registreranno in pieno il calo dell’attività economica preannunciata dalle maggiori istituzioni del capitalismo globale come ad esempio il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) che parla di una crescita negativa per l’anno prossimo.

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IL SINGULTO congiunturale del Pil permetterà al governo Meloni di mettere nella legge finanziaria da almeno 30 miliardi qualche risorsa in più contro il caro bollette e dei beni alimentari colpiti dal blocco russo dei corridoi ucraini per il grano. Nella Nadef potrebbe essere stabilito un obiettivo di crescita vicino all’1% del Pil per il 2023. Molto dipenderà dall’andamento del quarto trimestre che qualcuno spera ancora positivo al fine di creare un effetto trascinamento sul primo dell’anno prossimo che si prevede negativo. La realtà sarà, come sempre per le leggi di bilancio, molto diversa da quella annunciata dalla Nadef. La discrasia tra la previsione e il dato finale consolidato sulla crescita potrebbe essere una boccata d’aria per un governo che sta raschiando il fondo del barile per raccogliere risorse pari al 75% dell’intera manovra e attutire il colpo dell’aumento dei prezzi. Ciò non toglie che, dopo la sua approvazione entro dicembre, dovrà cercare altre risorse che si aggiungeranno ai quasi 60 miliardi di euro stanziati dal governo Draghi, più quelle stanziate ora.

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LA SITUAZIONE di un governo stretto nella tenaglia dell’aumento dell’inflazione (vicina al record del 12%) e con risorse decrescenti è stata chiaramente descritta ieri dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco secondo il quale «i margini per l’erogazione di aiuti a famiglie e imprese saranno verosimilmente molto più limitati che negli ultimi due anni. Interventi temporanei e mirati potranno contribuire a contenere la riduzione dei redditi reali e, per tale via, le pressioni sull’inflazione connesse con le richieste salariali senza compromettere l’equilibrio dei conti pubblici. Possono essere ampliati con la riduzione di altre spese». Le prime della lista sono il «reddito di cittadinanza». A rischio sono almeno 660 mila percettori ritenuti «abili al lavoro» (e non «900 mila» come ha sibilato Salvini all’orecchio di Meloni). Altri parlano anche della «Naspi». Per ammissione della stessa Meloni, e di altri esponenti di Fratelli d’Italia, questa situazione rallenterà la promessa di tagliare il cuneo fiscale del 5% per imprese e lavoratori. Ma rischia di tagliare la spesa per lo stato sociale facendo pagare la crisi a chi la subisce di più.