«Non si può escludere una recessione globale» e se così fosse «le economie emergenti e in via di sviluppo, che già soffrono dei tassi di interesse più elevati, degli afflussi di capitali ridotti e del forte apprezzamento del dollaro, subirebbero gravi conseguenze, aggravando le già allarmanti crisi del debito».

Lo ha detto ieri il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nel corso di un intervento al 106° incontro del Development Committee della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale a Washington. Visco ha aggiunto che, con una recessione globale, «sarebbe molto probabile innescare un nuovo aumento della povertà, che si aggiunge alla stima della Banca Mondiale tra i 75 a i 95 milioni di “nuovi” poveri creati dalla pandemia e dagli effetti immediati della guerra» russa in Ucraina.

Nella prima fase della crisi, quella caratterizzata dalla pandemia, l’azione della Banca mondiale – come quella delle altre istituzioni della governance capitalistica (dal Fondo monetario internazionale -Fmi- alla Commissione Europea) – «è stata veloce» nel dare sostegno ai più vulnerabili». Ma, a parere di Visco, ora è richiesto uno sforzo ulteriore. «Gli aumenti dei costi dell’energia e del cibo – ha aggiunto – stanno erodendo il potere d’acquisto delle famiglie, rallentando gli investimenti aumentando l’incertezza e minando la fiducia e costringendo le banche centrali a inasprire le politiche monetarie per frenare la crescita dei prezzi al consumo».

Il governatore della Banca d’Italia ha rivolto un invito alla Banca mondiale e al l’Fmi «a continuare a sostenere il Common Framework, aiutando i governi a migliorare la trasparenza del debito insieme alla gestione fiscale e del debito». Crisi alimentari, disastri legati al clima, mancanza di servizi sanitari, conflitti e violenze – ha aggiunto Visco – sono tutti fattori trainanti dei flussi migratori. Questi impoveriscono le aree da cui provengono i migranti, creando spesso pressioni nelle comunità di accoglienza e reazioni politiche avverse nei paesi di destinazione».

È tutt’altro che sicuro che a queste esortazioni corrispondano reali politiche efficaci. Se considerata dal punto di vista europeo, e italiano, la gestione del sistema fiscale resta ancora ispirata a un’evidente disuguaglianza che penalizza i redditi medio-bassi. E l’esigenza di diminuire il debito pubblico esploso con la pandemia rischia di creare nuove contraddizioni nella nuova crisi dell’inflazione e del caro-energia, a cominciare dal taglio o dal definanziamento della spesa sociale che è aumentata ma non è stata riformata nel senso di una maggiore uguaglianza . L’Fmi, o la Commissione Ue, hanno sollecitato paesi come l’Italia a varare provvedimento «puntuali» e temporalmente limitati a favore delle fasce più deboli. In nessun caso si parla di riformare strutturalmente lo Stato sociale e le sue fonti di finanziamento per reggere gli urti delle crisi in corso.