Punto primo: Meloni e Salvini ci potevano risparmiare il loro karaoke perché non diffondi le immagini della tua festa di compleanno la sera stessa del giorno in cui ti hanno tirato addosso i peluche perché non vi siete neanche presi la briga di omaggiare le vittime della strage di Steccato di Cutro.

Punto secondo: ce le potevano risparmiare perché quando non si sa cantare è meglio non fare mostra delle proprie cattive performance vocali sui media, e se vogliono stonare stonino, ma nell’intimità dei propri intimi e sodali.

Punto terzo: ce lo potevano risparmiare perché il karaoke farà anche felice chi si esibisce, ma spesso intristisce chi ascolta, oppure lo fa ridere per le sconquassate performance. Qui non faceva nemmeno quello, ridere.

Per carità, riconosco a ognuno, anche ai deboli di voce e di intonazione, il diritto al canto, però bisognerebbe essere consapevoli dei propri limiti e saper fare un passo indietro quando è necessario

EBBENE, sì, sono contro il karaoke. L’ho sempre trovato tristissimo e per molte ragioni.

Sei in un consesso pubblico, parte una base registrata, su uno schermo vedi le parole che spesso non sai o non ti ricordi, eppure… eppure osi salire sul palco, brandire il microfono e imporre agli astanti le tue velleità canterine.

Per carità, riconosco a ognuno, anche ai deboli di voce e di intonazione, il diritto al canto, però bisognerebbe essere consapevoli dei propri limiti e saper fare un passo indietro quando è necessario, capire la differenza fra il dare un piacere e imporre un dispiacere, a meno che non si vada lì apposta per dare il peggio di sé.

Nello specifico, la premier e il ministro hanno massacrato non solo la sensibilità di un Paese annichilito, e parecchio arrabbiato, di fronte alle oltre settanta bare dei migranti annegati, ma anche la memoria di Fabrizio de André e della sua La canzone di Marinella che lui sussurrava con drammatica intensità, mentre loro, lui più insicuro, lei più sguaiata, sono andati fuori tempo, fuori sincrono, fuori intonazione, fuori tutto, neanche si fosse a una svendita di divani.

È come se in quella esibizione, messa online da una mano perfida, fosse caduta la maschera mostrando all’onorevole pubblico chi sono davvero, e non mi riferisco solo alle ugole.

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BENCHE’ la musicista che è in me lo trovi una jattura per le orecchie, devo dare atto al karaoke che anche questa volta si è mostrato come una macchina della verità. Inventato non si sa bene se dai nipponici o dagli americani, è certo che il primo apparecchio fu messo a punto dal giapponese Daisuke Inoue e prese piede negli anni Ottanta in varie nazioni dell’ Asia, per poi arrivare da noi. Attualmente, a Milano, per dire, i ristoranti o bar con sala karaoke si trovano soprattutto in zona Chinatown.

ALCUNI hanno una sala dedicata dove con 35 euro di prenotazione puoi cantare per un’ora e tre quarti. Come per tutte le cose, se ti piace ci vai, se non ti piace lo eviti. Ma se sei una premier o un ministro, e sai di non essere De André o Pavarotti, sarebbe meglio dire agli invitati che è severamente vietato diffondere video della serata. A meno che tu, premier e ministro, non voglia proprio quello, per dimostrare che sei una/o del popolo, così, magari, prendi i voti e gli apprezzamenti anche dei timidi e degli stonati, ecchiseneimporta se a 1244 chilometri di distanza (la festa si è tenuta a Uggiate Trevano in provincia di Como e forse per questo non avevano tempo di andare sulla spiaggia della tragedia) c’è una fila di bare, fra cui parecchie di bambini, che cercavano solo di vivere una vita normale, e molto probabilmente anche cantare, cosa vietata alle donne in Afghanistan, Paese da cui proveniva la maggior parte degli annegati.

Magari anche a loro sarebbe piaciuto, un giorno, provare l’ebrezza del karaoke, magari.

mariangela.mianiti@gmail.com