Quei protettori impresentabili degli ebrei italiani
Shoah Una minoranza può legittimare il nemico che rischia di opprimerla? La domanda torna di fronte alle linee guida dell’Ucei sulla Giornata della memoria
Shoah Una minoranza può legittimare il nemico che rischia di opprimerla? La domanda torna di fronte alle linee guida dell’Ucei sulla Giornata della memoria
Le linee guida interne dell’Unione delle comunità ebraiche sul giorno della memoria dopo il 7 ottobre propongono una difesa di Israele da impropri accostamenti al nazismo, attraverso altrettanto improprie riduzioni ad antisemitismo di molte critiche al governo israeliano.
Ma una simile operazione rischia di far finire chi la compie in cattive compagnie. Il problema non è nuovo. Per assicurarsi protezione, una minoranza può strumentalmente legittimare il nemico che rischia di opprimerla? E se decide di farlo che prezzo potrebbero pagare altre minoranze? È la domanda su cui da tempo ci si interroga in relazione al rapporto che alcuni esponenti della comunità ebraica italiana hanno deciso di avere con l’estrema destra di governo.
Ultimo episodio è stata la presentazione di un libro sull’antisemitismo al Maxxi di Roma con l’attuale presidente, Giuli, un «fascista intelligente», secondo vari avversari, e il ministro della Cultura Sangiuliano, già fascista nel senso di camerata di Almirante. Noemi di Segni, presidente dell’Ucei ha partecipato. Al contempo, una settimana fa, dopo Acca Larenzia, Di Segni aveva rilasciato un’intervista a La Stampa in cui contestava che fosse possibile opporsi all’antisemitismo e, contemporaneamente, difendere le idee di Vannacci. Siamo lieti di questa presa di posizione – che ricalca in parte una pregevole lettera inviata a Repubblica circa un anno fa contro l’ipocrisia postfascista.
Tuttavia la stessa coerenza politico-morale sarebbe stata utile nel decidere con quali interlocutori fare una manifestazione contro l’antisemitismo a inizio dicembre 2023. Salvini era alleato dei neonazisti ripuliti della Afd anche allora. Eppure ha parlato dal palco. Certo il recente ritrovo vicino Wannsee tra vecchi e nuovi nazisti, dove alcuni esponenti del secondo partito tedesco nei sondaggi hanno discorso su come rinnovare le antiche capacità razziste, ha ricordato che tipo di alleati e interlocutori i nostri principali partiti di governo abbiano.
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Alla Corte dell’Aja l’umanità è al bivioDesta quindi sorpresa che le linee guida interne dell’Ucei siano concentrate solo sulla difesa di Israele e non anche su come rapportarsi criticamente ad un governo postfascista che non ha reciso – se non in modo rituale – i suoi legami con le proprie origini antisemite e razziste. Giustamente, si vogliono respingere sciocche banalizzazioni e relativizzazioni della Shoah. Ma i toni sono da propaganda, vige un manicheismo che mal si attaglia alla complessità – e violenza – di quanto accade in Israele-Palestina. Se, ad esempio, il Guardian, in un editoriale redazionale, invita a riflettere sul processo all’Aja contro il governo israeliano al fine di fermare il massacro a Gaza, forse potrebbe essere utile non liquidare ogni critica come antisemita.
Non a caso il dibattito ebraico globale, italiano e israeliano è molto più pluralistico di quello che questa comunicazione interna dell’Ucei mostra. Questo indebolisce sia la coerenza delle posizioni assunte, sia la vivacità critica che la diaspora ebraica può esprimere. L’identificazione tra ebrei diasporici e governo di estrema destra israeliano non serve a nulla – o meglio serve, oggettivamente, a Netanyahu ma non credo che sia questo l’obiettivo della rappresentanza istituzionale dell’ebraismo italiano. E non si tratta di aumentare o diminuire l’antisemitismo che purtroppo precede quanto avviene in Israele-Palestina e certo gli sopravviverà. Si tratta di rompere il nesso nazionalista tra una cultura e uno stato che la militarizza e la etnicizza ai danni di un’altra popolazione.
Ciò detto, non meno preoccupante è il cedimento sul fronte della memoria da parte di alcune aree della sinistra, come l’evento Anpi in provincia di Firenze mostra. Da tanti anni, e oggi quindi ancora di più, il Giorno della memoria è usato come una clava contro gli ebrei. La retorica è questa: da vittime a carnefici, gli ebrei hanno appreso gli strumenti dei loro aguzzini. Sono diventati come i nazisti, se non peggio. È un’accusa perversa che raddoppia il torto subito. Ed è un’accusa utile a chi la fa per autoassolversi. Il Giorno della memoria, infatti, se a qualcosa serve – ed è da discutere se sia efficace in questo senso -, dovrebbe servire a riflettere su quel che l’Europa ha prodotto tra gli anni Venti e gli anni Trenta. Su come il razzismo omicida abbia avuto una lunga gestazione, una circolazione tra metropoli e colonia e ritorno.
Riflettere sulla Shoah dovrebbe portare a riflettere su come fare quello che trivialmente si potrebbe chiamare un «buon uso» della memoria. Ossia un impiego nel presente del poco che le tragedie insegnano agli autori o comunque ai loro discendenti – più che alle vittime, in questo caso, prevalentemente ma non solo, gli ebrei d’Europa.
E allora a che serve pensare che lo scandalo del mancato buon uso della memoria sia in Israele e non qui, dove migliaia di migranti muoiono ai confini d’Europa, dove milioni di migranti vivono segregati nelle nostre città e nazioni, dove al governo decidono – o a breve decideranno – gli eredi di quella cupa esperienza genocidaria tutta europea? A nulla, a pensare che il male è altrove. E che noi siamo sentinelle. Anche se il fortino è dei nemici.
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