Lilli Henoch, nome sconosciuto ai più e una delle sei milioni di vittime della Shoah, nacque nel 1899 a Königsberg, l’attuale Kaliningrad, exclave russa fra Germania e Polonia. Di famiglia influente, fu avviata allo studio del pianoforte, ma ai solfeggi e alle sonate preferiva corse, salti e lanci. La relativa bizzarria di tale comportamento era ormai temperata da un nuovo modo di pensare, che associava il benessere fisico alla cura del corpo e all’esercizio atletico. Prevaleva ancora il pensiero che diversi sport (al pari di certe professioni) dovessero rimanere un’esclusiva maschile, ma cominciava a prender piede l’idea che – almeno allo scopo di prepararle a matrimonio e maternità – le ragazze dovessero frequentare le scuole superiori e qui dedicarsi alle ore di ginnastica.

Le donne erano ancora una sparuta minoranza nei club sportivi, ma la origine e l’appartenenza alla classe agiata assecondarono la passione di Henoch: da una parte la comunità ebraica annetteva una grande importanza all’educazione, dall’altra l’alta borghesia aveva abbastanza denaro e tempo libero per andare in palestra, prendere lezioni di pattinaggio o giocare a tennis.

Inoltre, nel 1869 il cancelliere prussiano Otto von Bismarck aveva fatto approvare la formale emancipazione civile e politica degli ebrei. Estesa a tutta la Germania con l’unificazione del Reich, la legge non spazzò via i pregiudizi anti-semiti, ma favorì la lenta, accidentata e poi piena integrazione nella cultura tedesca soprattutto delle famiglie ebree benestanti, che prontamente recepirono i nuovi imperativi della moda, che richiedevano una figura femminile snella e agile, altra ragione per praticare l’attività atletica.

Henoch rimase orfana di padre alla vigilia della Prima guerra mondiale, il che non determinò una riduzione di status, poiché la madre si risposò col direttore di una compagnia di assicurazione, che spostò la famiglia in uno dei quartieri più ricchi di Berlino. Lilli si iscrisse al rinomato Berliner Sport-Club (BSC), che a partire dagli anni ‘20 promosse la partecipazione delle donne alle proprie attività. La sua fotografia più antica ci mostra Henoch come capitana della squadra di pallamano, ma subito la ragazza scoprì la bellezza dell’atletica leggera, all’epoca oggetto di un movimento d’opinione progressista che andava di pari passo con l’attivismo delle suffragette e che reclamava l’inserimento nel programma olimpico delle gare riservate alle donne. Henoch le avrebbe certo dominate se fossero state disputate: fra il 1922 e il 1926, la poliedrica campionessa si aggiudicò numerosi titoli nazionali e stabilì a più riprese i primati mondiali nel disco e nel peso, oltre a far parte del quartetto che abbassò a 50’’4 il record del mondo della 4×100.

Durante la Repubblica di Weimar, il paese fu colto da un’autentica frenesia sportiva e la comunità ebraica beneficiò della visibilità di campioni come il tennista Daniel Prenn e di vedette internazionali come l’olimpionico inglese dei 100 metri Harold Abrahams, utili a contrastare lo stereotipo dell’ebreo fragile e fisicamente inferiore. Henoch faceva la sua parte e nelle pubblicazioni sociali del BSC era sovente celebrata come un’eroina che portava lustro e prestigio al club, anche con incarichi di direzione e rappresentanza. Il 18 gennaio 1933, fu addirittura messa a capo della sezione femminile del club berlinese. Solo dodici giorni dopo, il presidente von Hindenburg chiamò alla cancelleria Adolf Hitler.

Anche prima del varo delle persecutorie Leggi di Norimberga del 1935 e persino in assenza di ordini espliciti, le associazioni sportive espulsero gli ebrei per conformarsi alle aspettative del nuovo regime. A ben vedere si trattava solo di un altro ambito in cui trovava applicazione concreta la cosiddetta «volontà del Führer»: secondo la teoria formulata dallo storico Ian Kershaw, il «dominio carismatico» del leader induceva i sottoposti a interpretare oltranzisticamente i suoi precetti ideologici, così da produrre una «radicalizzazione cumulativa» senza eguali nemmeno nei coevi totalitarismi dell’Italia fascista o della Russia staliniana.

Henoch riparò in un sodalizio sportivo che era affiliato al Reichsbund jüdischer Frontsoldaten. È interessante notare che questa associazione dei soldati ebrei del Reich era stata creata all’indomani della Pace di Versailles e intendeva contrastare le accuse di codardia e di tradimento che una parte dell’opinione pubblica tedesca rivolgeva alla minoranza ebraica. Coerentemente con tale obiettivo, i suoi membri si professavano affini alla cultura e alle tradizioni germaniche. Erano reazioni che testimoniavano l’incapacità della maggioranza degli ebrei di comprendere la reale portata della minaccia nazista, giudicata un fenomeno passeggero che una fedeltà a tutta prova avrebbe dissipato, come dimostrato dalla preghiera che la comunità israelitica di Berlino telegrafò al rabbino di Londra affinché facesse cessare le notizie inesatte che offuscavano la fama della «nostra patria germanica» o addirittura la fondazione dell’Unione degli Ebrei nazionali che puntava a conciliare(!) il programma nazista con le aspirazioni degli ebrei veramente tedeschi e patriottici.

Nonostante proposte di ingaggio come allenatrice ricevute dagli Stati Uniti e dall’Olanda (dove peraltro non sarebbe stata affatto al sicuro), Henoch accettò un lavoro come insegnante di ginnastica in una scuola ebraica del quartiere di Prenzlauer Berg. Il censimento del 1939 ne registrò ancora il medesimo impiego, per quanto l’istituto fosse stato pesantemente danneggiato durante la «Notte dei cristalli» del novembre 1938.

Nel maggio 1941, la famiglia fu obbligata a trasferirsi in una «residenza per ebrei». Nell’agosto 1942, Henoch firmò una «dichiarazione dei beni», segno inequivocabile dell’imminente deportazione. Dopo esser stata assegnata a un lavoro di mietitura a Neuendorf, il 5 settembre Lilli e la madre Rose Henoch Mendelsohn furono caricate su un vagone piombato diretto a Riga e tre giorni dopo furono barbaramente uccise prima di giungervi. La vita delle due donne fu dunque falciata prima che la «soluzione finale» trasformasse la Shoah in un processo industrializzato asettico ed eminentemente moderno. Il genocidio degli ebrei nei territori che la Wehrmacht occupò nella sua marcia verso Est fu caratterizzato da una violenza selvaggia e primitiva: prolungate raffiche di mitragliatrice sull’orlo di gigantesche fosse comuni, linciaggi nei centri urbani sovente perpetrati da uomini conosciuti dalle vittime, o fucilazioni di massa in boschi dove i martiri avevano passeggiato nelle lunghe giornate estive.