C’è una notizia per i circa 57mila detenuti che sono in carcere in Italia: potranno vedere in tv le partite dei Mondiali essendo trasmesse in chiaro dalla Rai.

Ciò vale anche per i centotrentatré detenuti dell’Ecuador e per l’unico recluso del Qatar, nazioni che si sfideranno nel match inaugurale. E vale anche per i ventiquattro iraniani e i sette inglesi, le cui nazionali si scontreranno invece lunedì.

Negli istituti penitenziari italiani non c’è il satellite e non c’è neanche la rete. Uno strano Mondiale invernale in un paese che non si può dire che abbia a cuore i diritti umani.

In Italia ci sono 133 detenuti dell’Ecuador, 24 iraniani, 7 inglesi e 1 solo del Qatar

Tutta la paludata retorica calcistica intorno alla parola «Respect» fa fatica ad attecchire in un emirato dove si può essere puniti sino a tre anni per sodomia o dove la legge prevede l’arresto fino a quindici giorni, rinnovabili fino a sei mesi, senza alcuna procedura giudiziaria.

Vediamo se nell’ipocrita mondo del calcio ci sarà mai, tra gli ottocentotrentadue calciatori convocati dalle rispettive squadre, ce ne sarà almeno uno che farà coming out prima, durante o dopo i Mondiali alla faccia di Khalid Salman, ambasciatore del Qatar per questi Mondiali, che ben poco diplomaticamente ha accostato l’omosessualità alla malattia mentale.

Certo sarebbe stato ben diverso se l’Inghilterra avesse convocato il giovane Jack Daniels del Blackpool o l’Australia avesse portato a Doha Andy Brennan del South Melbourne, tra i pochissimi calciatori professionisti a rendere pubblica la propria omosessualità.

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Ben poco si sa delle galere del Qatar, mentre molto, purtroppo, si sa di quelle ecuadoregne.

L’ultima rivolta risale a poco più di un mese fa. A Cotopaxi, il carcere di Latacunga, sono morti almeno quindici detenuti. A maggio erano state uccise, nel carcere di Santo Domingo, altre quarantaquattro persone.

Forse ben conosceva le condizioni delle prigioni del suo Paese, Enner Valencia, undici reti in questa stagione nel Fenerbhace e centravanti della nazionale dell’Ecuador, che ha simulato un infortunio per evitare di uscire dal campo e così sottrarsi a un arresto della Polizia del suo Paese, alla fine di una partita contro il Cile del 2016. Era accusato di non avere pagato gli alimenti per la figlia.

I ricordi italiani del calcio dell’Ecuador sono tutti legati all’arbitro Byron Moreno. Era il 18 giugno del 2002 quando in sequenza espulse Francesco Totti senza motivo, segnalò fuorigioco inverosimili, provocando la nostra seconda eliminazione targata Corea (questa volta era quella del Sud, dopo quella del Nord nel 1966).

Chissà che pensa di lui l’attuale sindaco di Verona Damiano Tommasi a cui negò un goal regolarissimo, ai tempi in cui tutto era nelle mani arbitro e guardialinee.

Non si è mai saputo se Moreno quella partita se la fosse venduta. Sappiamo però che qualche anno dopo fu arrestato per traffico di eroina a New York ed è andato ad arbitrare in una prigione della Grande Mela.

E in carcere si trova adesso in Iran l’ex centravanti della nazionale Ali Daei, centonove reti tra il 1993 e il 2006, il più prolifico marcatore della storia della sua nazione, una vera e propria star del calcio iraniano.

Ali Daei, il “Paolo Rossi” iraniano in campo ai mondiali 2006, foto Getty Images

Ha appoggiato la protesta delle donne iraniane così come ha fatto l’attuale punta Sardar Azmoun, che milita nel Bayer Leverkusen, che avrebbe augurato lunga vita alle donne iraniane. Lui è stato convocato in Qatar così come Mehdi Taremi, punta del Porto, che come il compagno ci ha messo la faccia contro il regime.

Che succederà di loro dopo il Mondiale? Raggiungeranno in prigione Ali Daei? I loro volti saranno i più ripresi. Dai loro sguardi, dalle loro mani, dalle loro parole (più che dai loro piedi) dipenderà il loro futuro libero o incarcerato.