Grande festa domenica sera a Parigi, in uno Stade de France tutto esaurito è andata in scena la cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi 2024. A rappresentare l’Italia nella sfilata delle delegazioni nazionali c’erano i portabandiera scelti dal presidente del Comitato Italiano Paralimpico Luca Pancalli: Domiziana Mecenate e Ndiaga Dieng. Sono i due atleti italiani più giovani della spedizione ed entrambi si sono classificati al quarto posto nelle loro gare. Spenta la fiamma, il passaggio di consegne tra Parigi e Los Angeles ormai è effettivo e la festa si è conclusa con tutto lo stadio, dagli spalti al campo, che ballava a ritmo di musica.

Si preannunciavano Paralimpiadi dei record, e come tali si sono confermate. Lo sono state per numero di nazionali coinvolte, per numero di atleti partecipanti e per numero di discipline di gara svolte. Ma per la Nazionale italiana, lo sono state anche per quanto riguarda il medagliere. Tre anni fa a Tokyo fu la seconda miglior Paralimpiade di sempre con 69 medaglie conquistate di cui 14 ori (dietro solo a quelle di Roma del 1960), Parigi ha subito ribaltato il risultato. L’edizione di Roma rimane praticamente inarrivabile (80 medaglie, 29 d’oro) ma, in quella parigina appena conclusa, è di nuovo secondo miglior risultato di sempre con 71 medaglie portate a casa, di cui ben 24 ori. Azzurri che si posizionano sesti nella classifica del medagliere totale, sotto solamente a Cina, Gran Bretagna, Stati Uniti, Paesi Bassi e Brasile.

Nella finale dei 100 metri piani femminile abbiamo assistito poi a un capitolo che mescola drammi sportivi a incoronazioni alla carriera. Nell’ultima edizione il capolavoro azzurro con il terzetto tutto italiano sul podio raggiunto da Ambra Sabatini (record mondiale 14.11), Martina Caironi e Monica Contraffatto. A tre anni di distanza, mancavano forse meno di dieci metri all’arrivo, il miracolo si stava ripetendo. Sabatini e Caironi a giocarsi primo e secondo posto, Confrattato che si giocava il terzo con l’indonesiana Tiarani, entrambe davanti alla britannica Okoh. Poi la caduta. Ambra Sabatini perde l’equilibrio, cade a terra e invade la corsia della vicina e compagna di nazionale Contraffatto. Il sogno del terzetto bis svanisce a pochi metri dal traguardo. La gara termina con l’oro per Caironi, argento per Tirani e bronzo ad ex-equo per Okoh e Contraffatto che, nonostante la caduta dovuta all’invasione di corsia di Sabatini, riesce magicamente ad allungarsi e a raggiungere il bronzo. Non conclude la gara Sabatini. Dramma sportivo per lei, terzo oro Paralimpico alla sua ultima partecipazione (una sorta di oscar alla carriera), per la quasi trentacinquenne Caironi. Ma Ambra è ancora giovane, il record mondiale raggiunto a Tokyo a soli diciannove anni lo ha battuto lei stessa ai mondali dell’anno scorso. Oggi ha ventidue anni e alle prossime Paralimpiadi di Los Angeles 2028 avrà ancora solo ventisei anni.

«Ne ho affrontate tante, affronterò anche questa», ha detto in lacrime a fine gara. Il tempo e il talento sono dalla sua parte. E chi ama lo sport sarà dalla sua parte anche se dopo la «caduta» non riuscirai (o sceglierai) di non «rialzarti». Perché quest’estate sportiva, tra Giochi Olimpici e quelli Paralimpici appena conclusi, ci ha ricordato che a questi livelli si gareggia sì per arrivare primi, ma che anche un quarto posto a pochi passi dal podio può essere una vittoria. E che non solo il numero uno è un vincente. Significa che tutti gli altri atleti, i migliori a livello globale, che riescono ad arrivare a partecipare alla più alta competizione sportiva, sono dei perdenti? Le nuove generazioni di atleti stanno rispondendo decisamente di no, e che siamo solo noi stessi a poter definire i nostri obbiettivi.