Ha lanciato il sasso della lunga gittata e ieri ha mostrato la mano (in scadenza di mandato) chiusa a pugno, allargando la lista nera dell’Occidente a Iran, Corea del Nord e Cina: il nuovo “asse del male”. Dopo l’appello agli alleati per il via libera congiunto alla guerra incondizionata basata sugli attacchi in profondità in territorio russo, il segretario generale della Nato apre il vertice dei ministri degli esteri euro-atlantici di Praga premendo tutti i grilletti possibili e immaginabili.

«LE SFIDE dell’Ucraina sono molteplici ma la vittoria di Kiev è ancora alla nostra portata, se ci sarà il forte sostegno di tutti gli alleati» esordisce Jens Stoltenberg mostrando la consueta certezza sulle sorti della guerra.

Il nodo che strozza la Nato è sempre lo stesso, ricorda l’accorata esortazione del padrone di casa che riassume meglio di ogni dichiarazione ufficiale l’unico vero scopo del summit «informale» di Praga: preparare il ben più importante incontro di Washington in programma dal 9 all’11 luglio.

«Stiamo facendo passi avanti sulla rimozione delle restrizioni sull’uso delle armi da parte degli ucraini. Alcuni Paesi sono timorosi delle conseguenze, altri invece sono convinti che la misura sia imprescindibile. Serve una posizione comune» sottolinea didatticamente il ministro degli esteri della Repubblica Ceca, Jan Lipavsky, prima di provare a convincere gli alleati riottosi con un ragionamento brillante ma nel senso dell’esplosivo: «Sì, alcune armi hanno una lunga gittata. Ma usiamo la logica: è meglio abbattere un aereo che i missili che trasporta, no?».

FA IL PAIO con l’impegno della Danimarca: come già Finlandia, Polonia, Germania e Francia ieri ha dato il via libera a Kiev a utilizzare le proprie armi per colpire obiettivi in profondità nella Federazione russa. Dettaglio inquietante: Copenaghen fornirà a breve i caccia F-16 ora nella sua riserva all’aeronautica ucraina; vuol dire spalancare l’opzione dei bombardamenti come minimo nelle regioni confinanti russe con missili sparati in Ucraina ma diretti oltre confine.

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Avanti tutta dunque, come vogliono Polonia. Regno Unito e Baltici nonostante più di qualche governo, Italia in testa, vorrebbe fermare le macchine della Nato sulla tacca della mezza velocità, almeno per quanto riguarda mettere gli stivali dei propri soldati sul terreno che in due anni e tre mesi ha già inghiottito una generazione di ucraini e una di russi. «Non siamo in guerra contro la Russia, difendiamo l’Ucraina» tiene a precisare il ministro degli esteri italiano Tajani.

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E POI CI SONO gli americani con la loro invalicabile red-line alla guerra totale a Putin, preoccupati più che altro che gli alleati siano allineati per bene sotto il profilo dell’ideologia atlantista visti gli attuali problemi con Orban ed Erdogan, i dittatori “di cui abbiamo bisogno” ma sarebbe meglio evitare.

Ieri attorno alle 22.45 ora italiana la Casa Bianca ha dato il via libera all’uso delle armi americane contro obiettivi militari in territorio russo ma solo se usati per l’offensiva di Kharkiv. Mentre a Praga i ministri europei provavano a trovare la quadra sul nulla-osta definitivo e collettivo all’utilizzo di tutte le armi presenti e future fornite a Kiev, il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e il ministro ceco Lipavsky firmavano il memorandum d’intesa per fare insieme la lotta alla disinformazione.

«La Repubblica Ceca con le sue azioni e grazie alla sua leadership sta davvero dando vita e sostanza al concetto di difesa. Non solo siamo più forti ma anche pronti a prevenire e scoraggiare l’aggressione russa sotto tutti gli aspetti. Quando siamo uniti, quando lavoriamo insieme» precisa Blinken sintomaticamente in due tempi come Stoltenberg, con la differenza che lui rappresenta l’azionista di maggioranza della Nato e ha l’ultima parola su cosa e soprattutto chi fa il segretario dell’alleanza militare.

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IN PRIMA LINEA a succedere al leader norvegese c’è l’olandese Mark Rutte, di provata fede atlantista e falco quanto basta a sostenere la giusta postura con Putin e i suoi «migliori amici» elencati uno a uno ieri a Praga da Stoltenberg nel punto stampa pre-summit: «L’Iran fornisce i droni, la Corea del Nord invece consegna oltre 1 milione di proiettili di artiglieria, e poi c’è la Cina che sostiene l’economia di guerra russa e vende microchip dual-use. Il 90% delle componenti elettroniche assemblate da Mosca arriva da Pechino». Così l’ultima gittata di Stoltenberg; l’orizzonte del lungo raggio che adesso fa il giro del mondo e arriva all’altra parte del pianeta, sperando non torni indietro.