Proposte elettorali senza politica economica
Pablo Picasso, Marie-Thérèse con ghirlanda, 1937
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Proposte elettorali senza politica economica

Verso il voto Misure come la Flat Tax ma anche il taglio del cuneo fiscale possano “comprare” una parte dell’elettorato, ma pregiudicano proprio il soggetto del cambiamento: lo Stato
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 21 agosto 2022

Possono esistere proposte di politica fiscale, industriale, previdenziale e lavoristica, o riforme istituzionali, senza una visione complessiva e coerente di politica economica? Quale è il rapporto tra capitale-lavoro, Stato-lavoro, capitale-Stato che la politica economica sottende? Si tratta di domande retoriche, dal momento che tutte le proposte elettorali dovrebbero sempre e comunque misurarsi con l’implicita negazione del primo quesito e con risposte al secondo differenziate e tali da definire lo stile (la corrente) di ciascun partito.

È ben evidente questo processo nell’arte: non c’è opera che nasca senza un’idea da rappresentare; ed ognuna si distingue, si caratterizza e ci colpisce (bene o male) per la tecnica che l’artista ha scelto di utilizzare. È ciò che distingue lo scarabocchio di un bambino, disarticolata espressione del reale, da un volto di Picasso, emblema di maestria della rappresentazione destrutturata.
Ad ascoltare le proposte elettorali che ci insegue in questi giorni viene da domandarsi a che cosa assomigli la rappresentazione finale ottenuta ricomponendone i frammenti.

Innanzitutto, proviamo a ricercare nei programmi gli elementi che dovrebbero costituire un ovvio e comune antefatto: il disegno (almeno implicito) di una politica economica coerente con l’operare di uno Stato “moderno”, fatta di temi permanenti, di sfide contingenti da affrontare e di vincoli da rispettare o rimuovere.

Dovremmo così trovare indicazione della dimensione “minima” dello Stato sociale, da cui scaturisce la soglia minima di servizi che la Pubblica Amministrazione deve erogare a capitale, lavoro e famiglie; dovremmo poter comprendere l’idea di articolazione territoriale dello Stato (Comunale-Regionale-Statale) da cui si dipana la gestione e la responsabilità della spesa pubblica, anche alla luce del fatto che l’Italia, spende ben oltre il 15% della spesa pubblica a livello locale, contro una media europea del 10%; dovremmo intuire il progetto relativo alla struttura dei mercati, del cui funzionamento efficiente ed equo lo Stato è garante, nella transizione tecno-economica già programmata a livello nazionale ed europeo (altrimenti la resilienza avrebbe il gusto amaro della sopravvivenza darwiniana); dovremmo avere chiara la misura dell’impegno (o disimpegno) rispetto alla riforma del Patto di Stabilità e Crescita (vogliamo un bilancio pubblico europeo pari ad almeno il 5% del PIL finanziato da entrate proprie?).

Le questioni appena menzionate presuppongono una rivoluzione della macchina pubblica almeno proporzionale all’impegno pubblico (politico) desiderato. Sfide non meno rilevanti si profilano anche sul fronte privato: è infatti da considerare la despecializzazione dell’intero sistema industriale ed economico privato rispetto all’Europa; il paese è ormai un subfornitore di beni e servizi nella catena del valore internazionale; ciò da tempo pregiudica la crescita del Paese; i livelli di ricerca e sviluppo nel sistema privato sono, al netto di qualche eccezione, un insulto per il capitalismo moderno.

Come rispondono coloro che si candidano a guidare il Paese? Troppe proposte non fanno i conti con i vincoli menzionati. Misure come la Flat Tax o il taglio del cuneo fiscale (che hanno lo stesso segno di politica economica) possano “comprare” una parte dell’elettorato, ma pregiudicano (ridimensionano) proprio il soggetto del cambiamento: lo Stato. Più che ridurre le tasse ai cittadini e in particolare al capitale, al paese serve una pubblica amministrazione all’altezza della sfida.

Per il buon funzionamento della macchina pubblica sono necessari almeno 30 mld di maggiori entrate. Diversamente, si programma la dismissione dell’economia pubblica nazionale. E così dissertando in sede europea arriviamo a giustificare il permanere di misure di rinnovata austerità espansiva e/o supremazia della politica monetaria, come se la pandemia e la guerra in Ucraina non avessero tentato di suggerirci una diversa impostazione di politica economica.

Quale dovrebbe essere l’orizzonte delle proposte? Tra le varie necessità, vogliamo elencarne solo alcune: (1) sostenere i redditi da lavoro non tanto e non solo per ragioni di giustizia, ma anche per guidare-governare il mutamento quali-quantitativo della domanda, la quale condiziona e indirizza la produzione di beni e servizi verso i settori emergenti; (2) sostenere gli investimenti, ma la dinamica degli investimenti e del profitto atteso sono condizionati dal contenuto tecnico della domanda legata all’incremento del reddito; (3) remunerare il profitto legato ai settori emergenti senza creare disfunzioni (o privilegi) nei settori tradizionali; (4) selezionare e qualificare il credito alle imprese e, in particolare, il credito che finanzia i settori emergenti istituendo anche una banca di pubblico interesse; (5) qualificare la spesa pubblica e/o bilanciarla tra spesa in conto capitale e corrente. Non vediamo traccia di simili riflessioni.

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