Un assaggio di ciò che, per i diritti sociali, significherà il prossimo governo della destra viene dal Piemonte a guida Alberto Cirio. A suscitare allarme è la delibera sull’assistenza ai malati non-autosufficienti firmata a fine giugno dall’assessore alla sanità. Un provvedimento di governo del settore sanitario che cozza platealmente con le (vaghissime) promesse elettorali formulate, proprio in queste ore, dalla destra che si candida a governare l’Italia anche in nome di misure quali lo «sviluppo della sanità di prossimità e della medicina territoriale», il «rafforzamento della medicina predittiva» e l’«incremento dell’organico di medici e operatori sanitari» (punto 7 del programma per l’Italia sottoscritto da Meloni, Salvini e Berlusconi).

Niente a che vedere, in effetti, con quanto sancito nella delibera della Giunta regionale piemontese, la quale, dietro un titolo rassicurante («Percorso protetto di continuità assistenziale per anziani ultra 65enni non autosufficienti o persone con bisogni sanitari e assistenziali assimilabili »), nasconde una previsione normativa in base alla quale, passati 60 giorni dal trasferimento in Rsa dall’ospedale (o riabilitazione o lungodegenza o Cavs), al paziente si prospetta un’alternativa secca: o guarisce, o si fa carico, direttamente o tramite la famiglia, della retta per la sua permanenza in Rsa (pari, mediamente, a circa 3.000 euro al mese, salvo l’Isee certifichi condizioni socio-economiche tali per cui spetti all’Asl farsi carico del 50% della cifra).

Insomma: quel che la destra al governo del Piemonte prospetta ai cittadini della Regione bisognosi di continuità assistenziale è l’alternativa del diavolo per cui o essi s’impegnano a guarire entro il tempo amministrativamente, e non sanitariamente, prefissato oppure l’assistenza sanitaria di cui necessitano non è più, come dovrebbe essere, a carico del settore pubblico, ma del malato stesso. Come se il Servizio sanitario nazionale potesse essere considerato un servizio che è pubblico soltanto per un tempo definito.

Eppure, il quadro normativo è assai chiaramente orientato in senso opposto. La legge n. 833 del 1978 affida al Servizio sanitario nazionale il compito di tutelare la salute (art. 1, co. 1), stabilendo che tale compito sia realizzato tramite la «promozione», il «mantenimento» e il «recupero» «della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (art. 1, co. 3) e che, a tal fine, il Ssn si faccia carico, tra l’altro, della «diagnosi e cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata» (art. 2, co. 1, n. 3).

Risulta, dunque, in contrasto con la legge – come anche sancito dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa – sia il predeterminare temporalmente l’erogazione delle cure, sia il far dipendere la copertura delle spese sanitarie dalla valutazione delle condizioni individuali e sociali (tra cui quelle economiche, peraltro estese alla famiglia) della persona ammalata e bisognosa di assistenza sanitaria. E, tanto più, il farlo tramite un atto amministrativo, qual è la delibera della Giunta regionale, strutturalmente subordinato alla fonte legislativa.

Ciò che la normativa sui livelli essenziali di assistenza (Lea) consente è che la persona ricoverata in Rsa sia chiamata a far fronte alla quota cosiddetta “alberghiera” del ricovero, qualora le sue condizioni economiche glielo permettano (in caso contrario, sulla base delle risultanze dell’Isee, sarà chiamato a subentrare, in tutto o in parte, il comune o il consorzio socio-assistenziale di riferimento). Diverso è per la quota della retta relativa alle esigenze sanitarie, che non può che risultare a totale carico del Servizio sanitario nazionale, tramite l’Asl competente.

Il fatto è che il vero punto del programma elettorale della destra è quello sulle politiche fiscali (punto 4), la flat tax, e sul condono agli evasori. Misure, oltreché ingiuste, dissennate, perché foriere di un “buco” nei conti pubblici da decine di miliardi di euro, che inevitabilmente verrà fatto ricadere sulle prestazioni sociali.

In fondo, la destra che governa il Piemonte ha solo iniziato a portarsi avanti con il lavoro.