Il programma elettorale delle destre – meno tasse e più sicurezza – si rivolge con successo ai ceti medi e popolari impoveriti e spaventati dalla crisi e dalla guerra. Tuttavia, con una grande contraddizione: meno tasse significa meno risorse per la spesa pubblica, ma più sicurezza significa comunque più spesa pubblica. Sicurezza è ordine pubblico ma è anche sicurezza economica e sociale. Occorrono più medici, più poliziotti, più insegnanti. Più risorse per la transizione ecologica. Più risorse agli ultimi, ma anche ai ceti medi colpiti dalla crisi. Le risorse del Pnrr, spese male, non bastano, e il ricorso all’indebitamento è limitato dalle regole Ue e dai mercati finanziari.

In realtà le proposte della destra cavalcano l’onda di un senso comune ben radicato nella società italiana, una solidarietà proprietaria per cui chi possiede quattro mura sta con Berlusconi, grande immobiliarista. Questo orientamento ha generato una tendenza di lungo periodo alla riduzione della progressività fiscale, evidenziata dalla forte riduzione della “forbice” dell’Irpef, dalla sua istituzione ad oggi, tra l’aliquota minima e quella massima.

Nel 1974 fino a 2 milioni annui (12.000 € di oggi) si pagava il 10 %, mentre oltre i 500 milioni (oltre 2.000.000 di €) si pagava il 72 %. Dopo cinquant’anni siamo arrivati a Draghi, con l’aliquota minima al 23 % fino ai 15.000 € e quella massima al 43 % per i redditi dai 50.000 € all’infinito.

Dati praticamente ignorati dall’opinione pubblica, presa dal pregiudizio antitasse e dalla cultura liberista. Finora, proposte caute come quella di Letta, sulla tassazione delle eredità oltre i 5 milioni di €, o la patrimoniale di Fratoianni oltre i 500.000 €, formulate in termini poco comprensibili dall’elettorato medio, hanno solo alimentato il fuoco della propaganda avversaria.

Sul fisco occorre valutare l’opportunità di una svolta che assuma un approccio più netto: meno tasse sul lavoro, sulla piccola proprietà, sulla piccola impresa e più tasse sui redditi milionari, sui grandi patrimoni, sulle grandi eredità. Riduzione delle tasse sui ceti popolari e medio-bassi e un consistente incremento della pressione fiscale sul 5% più ricco della popolazione, producendo risorse anche per il rafforzamento dei servizi pubblici e per la riconversione ecologica.

Mentre la crisi in atto mette in discussione modi di vivere, atteggiamenti e convinzioni consolidate, si può far leva sulla contraddizione tra meno tasse e più sicurezza per disarticolare la solidarietà proprietaria tra il piccolo commerciante e il miliardario, attaccando il nocciolo duro ma marcio della propaganda di destra.

Senza entrare in ipotesi e dettagli tecnici, qui basta dire che la riapertura della forbice delle aliquote Irpef fino a quelle originarie, riconducendovi le tassazioni separate delle rendite immobiliari e finanziarie (le flat tax già esistenti), e sommandovi il ricavato di una lotta efficace all’evasione fiscale, può arrivare a decine di miliardi annui così da garantire incrementi consistenti ai redditi più bassi, anche pensionistici o da lavoro autonomo.

Il secondo versante è quello dell’imposizione sui grandi patrimoni e le grandi eredità, con aliquote paragonabili a quelle di altri paesi occidentali, con l’obiettivo di finanziare un rafforzamento dei servizi pubblici e una effettiva transizione ecologica. In Francia, ad esempio, l’imposizione sulle grandi eredità vale circa 15 miliardi annui con un’aliquota massima al 45 %. La patrimoniale di Fratoianni valeva circa 10 miliardi. Sommando una tassazione effettiva degli extraprofitti lucrati sulla crisi, oltre di quelli elusi dalle multinazionali Big tech, si può arrivare ad importi tali da far fronte ad un amplio ventaglio delle esigenze sociali.

Proprio la reazione della destra darebbe visibilità a queste proposte e un spazio alle forze proponenti per parlare ai ceti popolari e medio-bassi con il facile calcolo dei guadagni possibili, svelando l’imbroglio della flat tax e della solidarietà proprietaria. Così l’inasprimento, su questo punto, del clima elettorale renderebbe possibile richiamare al voto una parte dell’elettorato popolare rifugiatosi nell’astensione, ed anche di incidere nelle fasce socialmente deboli dell’elettorato di destra. Perché una riforma fiscale perequativa può innescare processi di scomposizione e ricomposizione di aggregazioni sociali, anche al di là di questa campagna elettorale.