Politici e giornalisti in manette, Saied imbavaglia la Tunisia
Nord Africa Nell’ultima settimana giro di vite ordinato dal presidente: «Sono terroristi». La deriva autoritaria ora preoccupa anche l’Onu. Nel mirino la libertà di parola, una delle vere conquiste della rivoluzione del 2011
Nord Africa Nell’ultima settimana giro di vite ordinato dal presidente: «Sono terroristi». La deriva autoritaria ora preoccupa anche l’Onu. Nel mirino la libertà di parola, una delle vere conquiste della rivoluzione del 2011
Una crisi economica e sociale lunga quasi due decenni. Uno scontro politico che da un anno e mezzo ha azzerato ogni tipo di istituzione. Una repressione dello spazio pubblico che da più di una settimana fa temere per la tenuta dei più basilari diritti civili. In un paese come la Tunisia, dove da dopo il colpo di forza del presidente della Repubblica Kais Saied il 25 luglio 2021 il processo democratico è sospeso, il futuro si fa sempre più incerto.
Da sabato 11 febbraio nel piccolo Stato nordafricano una campagna di arresti ha coinvolto uomini d’affari, direttori di giornali e politici di primo piano. Una stretta che Saied non ha mai nascosto ma che oggi assume per numeri e dimensioni una piega diversa, alla luce soprattutto dei dati deludenti relativi alle due tornate elettorali tra dicembre e gennaio scorsi per rinnovare un parlamento tuttora inattivo: ha votato solo l’11 per cento degli aventi diritto.
«QUESTA ONDATA di arresti non è la prima e non sarà sicuramente l’ultima – le parole di Majdi Karbai, deputato del partito riformista Attayar e direttamente coinvolto nella sospensione delle sue funzioni quasi due anni fa – Il presidente ha voluto distrarre l’attenzione dallo scarso interesse politico dei tunisini. Chi è stato arrestato era direttamente interessato nel proporre un’alternativa economica e sociale. Immediatamente è arrivata su di loro l’accusa di cospirazione contro lo Stato, anche se non sappiamo i casi specifici».
Le persone fermate non sono casuali. Tra tutti spiccano i nomi di Noureddine Boutar, direttore della radio nazionale più ascoltata, Mosaiquefm; Khayem Turki, politico di primo piano e attivista del partito Ettakatol, ma soprattutto Kamal Eltaief, lobbista e uomo d’affari già attivo all’epoca del despota Zine El-Abidine Ben Ali.
«Su Eltaief aleggiano mille leggende. A quanto dice il suo avvocato al momento dell’arresto la polizia ha preteso informazioni sui contenuti di una cena con l’ambasciatore italiano. Non si è mai vista una cosa del genere. C’è anche da dire che con la nuova legge 54 voluta dal presidente viene eliminata ogni minima garanzia di privacy con il sequestro di qualsiasi tipo di materiale informatico», prosegue Karbai.
Proprio la legge 54 è stata al centro di una manifestazione del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) per chiedere la sospensione di un decreto che rischia di minare la libertà di espressione in Tunisia, una delle poche conquiste dopo la Rivoluzione del 2011.
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Tunisia ostaggio del populismo di Saied: «L’unica soluzione è il dialogo nazionale proposto dal sindacato»IN UN MONOLOGO con la premier Najla Bouden Romdhane, Saied ha commentato in maniera molto netta gli arresti dell’ultima settimana: «La nostra sovranità è al di sopra di tutto. Non siamo più una colonia e alcuni paesi dovrebbero guardare la loro realtà prima di giudicare la nostra. Sappiamo quello che facciamo, coloro che sono stati arrestati sono dei terroristi».
Nei fatti il presidente ha voluto alzare l’accusa di possibili ingerenze esterne sulla politica interna del paese. Le reazioni non si sono fatte attendere. «L’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Volker Türk, ha espresso la sua preoccupazione per l’inasprirsi della repressione nei confronti di presunti oppositori politici e della società civile in Tunisia, anche attraverso le misure adottate dalle autorità che continuano a minare l’indipendenza della magistratura», ha commentato l’agenzia dell’Onu.
«Invito Saied a rispettare i diritti umani e a cessare i suoi continui attacchi contro i sindacati». Queste invece le parole di Esther Lynch, segretaria generale dell’Unione dei sindacati europei, destinate a fare molto rumore dopo avere ricevuto sabato scorso 24 ore per uscire dal territorio tunisino. La motivazione: aver preso parte a una protesta di piazza convocata dal sindacato più importante, l’Unione generale tunisina del lavoro (Ugtt).
QUANDO SI PARLA di Tunisia, tuttavia, l’attenzione deve ricadere anche sulle conseguenze dal punto di vista economico e sociale. Al momento il paese vive una grande crisi interna che rischia di inasprirsi senza il finanziamento da due miliardi di dollari da parte del Fondo monetario internazionale, sempre attento agli sviluppi autoritari di determinate nazioni.
E nelle parole conclusive dell’ex deputato Karbai, l’avvenire della Tunisia è una totale incognita: «Non bisogna dimenticare che nel 2024 si dovrebbero tenere le presidenziali, questi arresti pongono fine al processo democratico. Saied non ha intenzione di andare a votare il prossimo anno».
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