Caso Victor Dupont, la Tunisia non è sicura neanche per i ricercatori
Tunisia Le analogie con la vicenda egiziana di Giulio Regeni. Preoccupa l’arresto del dottorando francese che lavorava a uno studio sociologico sui giovani disoccupati. In cella anche una sua amica. L'accusa è di attentato alla sicurezza dello stato. Coperto dai suoi alleati europei, il regime di Kais Saied ha instaurato una macchina repressiva che non tollera dissenso né diritti umani
Tunisia Le analogie con la vicenda egiziana di Giulio Regeni. Preoccupa l’arresto del dottorando francese che lavorava a uno studio sociologico sui giovani disoccupati. In cella anche una sua amica. L'accusa è di attentato alla sicurezza dello stato. Coperto dai suoi alleati europei, il regime di Kais Saied ha instaurato una macchina repressiva che non tollera dissenso né diritti umani
Quando Victor Dupont, dottorando francese di 26 anni, è stato fermato da tre agenti in borghese delle forze di sicurezza tunisine, stava uscendo di casa con un’amica per incontrare altri due cittadini francesi e dirigersi a al-Kef, a sud-est di Tunisi, per un weekend fuoriporta.
Era il 19 ottobre e, da qualche settimana, Victor era tornato in Tunisia per svolgere alcune interviste nell’ambito di una ricerca iniziata due anni prima, all’Istituto di Studi e Ricerche sui Mondi Arabi e Musulmani di Marsiglia, sulle traiettorie di vita delle giovani e dei giovani disoccupati del paese. Parte di un gruppo di studiose e studiosi finanziato dal Consiglio Europeo per la Ricerca (ERC) per indagare come siano cambiate le vite di coloro che avevano partecipato ai moti popolari tra Nord Africa e Medio Oriente nel 2011, Victor svolgeva un’indagine sociologica che, fino a quel momento, non era considerata sensibile o rischiosa.
Eppure, quel sabato mattina, giunti nei pressi della sua abitazione, i suoi amici hanno assistito a una scena angosciante: bloccato da tre uomini in borghese, Victor cercava di attirare la loro attenzione, gridando di chiamare l’ambasciata francese. Non appena hanno preso il cellulare, anche loro sono stati fermati da persone in abiti civili, che li hanno trattenuti per diverso tempo all’interno di alcune auto, mentre altri agenti perquisivano l’abitazione di Dupont. Alla fine dell’operazione, Victor e la sua amica, la cui famiglia ha chiesto di mantenere l’anonimato, venivano posti sotto custodia cautelare e condotti davanti al Tribunale Militare di Tunisi che ne disponeva la detenzione presso il carcere di al-Mornaguia, con l’accusa di aver attentato alla sicurezza dello Stato.
Se l’arresto di un giovane ricercatore francese è un fatto inedito per la Tunisia post-Ben Ali, la vicenda di Victor, tutt’ora recluso in carcere, ricorda per certi versi le ricostruzioni della Procura di Roma sulle circostanze dell’arresto di Giulio Regeni, fatto sparire il 25 gennaio del 2016 al Cairo dalle forze di sicurezza del regime di al-Sisi, mentre stava raggiungendo alcuni amici per andare a una festa. Conclusasi con il suo assassinio, a seguito di atroci torture, anche la vicenda di Regeni era cominciata mentre il giovane ricercatore svolgeva la propria ricerca di dottorato su un tema fino ad allora considerato sicuro dalla comunità accademica.
Come nel caso di Regeni, anche l’arresto di Dupont vede un cittadino europeo, impegnato a svolgere professionalmente le proprie attività di ricerca, entrare nel mirino dell’apparato repressivo messo in campo dai regimi che, in momenti diversi dell’ultimo decennio, hanno soffocato le aspirazioni delle rivolte del 2011, approfittando del malcontento popolare verso la corruzione delle nuove classi politiche emerse nella fase di transizione, e con il sostegno pressoché incondizionato di vari governi europei, compresi quelli del proprio paese d’origine.
E, infatti, se attiviste e attivisti egiziani hanno denunciato che Regeni era stato «ucciso come un egiziano», anche Victor è stato arrestato come vengono arrestati, da ormai più di due anni, cittadine e cittadini tunisini che militano tra le forze di opposizione, attiviste e attivisti per i diritti umani, giornalisti e giornaliste che agiscono esercitando le proprie libertà di critica, espressione e informazione, come Dupont esercitava la propria libertà di ricerca. Un caso emblematico in tal senso è l’arresto dell’avvocata Sonia Dahmani, fermata il 21 maggio 2024 presso l’ordine degli avvocati di Tunisi e accusata di diffusione di notizie false per il tono ironico con cui, durante un programma televisivo, aveva commentato le violenze del governo contro i migranti, definendo la Tunisia «un paese davvero meraviglioso».
Mentre si moltiplicano gli arresti politici in Tunisia, dove il regime di Kais Sayed ha costruito ad arte una serie di nemici interni e internazionali per giustificare le gravissime violazioni dei diritti di coloro che vengono presentati come potenziali minacce alla sicurezza del paese, il decreto legge del 21 ottobre del governo italiano ha riconfermato la Tunisia, insieme all’Egitto, tra i «paesi di origine sicuri» per i migranti. In un paradosso grottesco, le richieste d’asilo di cittadini e cittadine provenienti da questi paesi, i cui regimi usano la detenzione intimidatoria e talvolta la tortura per reprimere il dissenso interno e scoraggiare le critiche, saranno trattate con procedure accelerate, che, a loro volta, ne autorizzeranno la detenzione amministrativa.
Se la privazione della libertà personale diventa sempre più comune su entrambe le sponde del Mediterraneo, è essenziale non dimenticare Giulio e chiedere la liberazione di Victor, insieme a quella di tutti coloro che, in Egitto e in Tunisia, perdono la libertà e, talvolta, la vita per difendere il diritto di denunciare gli abusi di potere e il loro impatto su chi lotta per una vita più giusta e dignitosa.
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