Eletto nel 2019 come “presidente del popolo”, Kais Saied ha avuto un forte sostegno all’inizio del suo mandato che è progressivamente diminuito con l’assenza di un preciso programma politico e riforme per contrastare la crisi economica nel paese. Il suo messaggio “populista” lo ha spinto a gesti al limite della libertà costituzionale con una parabola di repressione nei confronti della classe politica e della stampa, che in questi ultimi mesi preoccupa particolarmente la comunità internazionale. Il manifesto ne ha parlato con Habib Kazdaghli, docente all’Università di Tunisi e simbolo della lotta contro l’islamismo, in Italia per due seminari sui “100 anni del comunismo in Tunisia”, organizzati dalla Fondazione Gramsci a Bologna e a Roma.

Durante il suo mandato Saied si è attribuito pieni poteri, ha richiesto le dimissioni di due governi fino allo scioglimento del parlamento e a una riforma costituzionale per avere più potere, qual è la situazione in Tunisia?

Lo scioglimento del parlamento lo scorso 25 luglio 2021 è stato un atto “aggressivo” ma condiviso dalla maggior parte della popolazione tunisina. Con le ultime legislative e la parziale maggioranza ottenuta dal partito islamista Ennahdha, insieme all’ingresso di un partito di destra come Qalb Tounes, il parlamento era diventato più il posto dove mettere in evidenza le profonde divisioni politiche, gli scontri verbali e anche fisici, che il luogo dove portare le istanze e le necessità del popolo. I tunisini hanno apprezzato questo gesto da parte del presidente Saied, visto che il gradimento nei suoi confronti è arrivato al 92%, ma si aspettavano poi una “road map” per cambiare una situazione economica e sociale disastrosa. Niente di tutto questo è arrivato, se non la formazione di un esecutivo legato alla volontà del presidente e una riforma della Costituzione votata con una scarsissima affluenza perché scritta prevalentemente da Saied senza tener conto delle indicazioni di altri costituzionalisti.

Scarsa affluenza come per le ultime legislative di fine gennaio, con un tasso di astensione del 90%?

La scarsa affluenza, non è stata causata dal boicottaggio di alcuni partiti politici, ma principalmente dalla sempre maggiore disaffezione della popolazione per la politica che non risolve i problemi del paese. Un disinteresse che porta al populismo voluto da Saied e mette il nostro paese a rischio, visto che avremo nuovi eletti senza una reale rappresentatività. Nella stessa maniera si può vedere un esecutivo che agisce esclusivamente sotto le indicazioni del presidente Saied, senza nessun livello di autonomia.

Riguardo ai rischi per il paese, in questi ultimi mesi si parla molto di repressione politica e dei media, con numerosi arresti a tal punto che l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, ha parlato di inquietudine riguardo all’aggravarsi della repressione in Tunisia.

Gli arresti degli ultimi mesi mettono in evidenza gli effetti del populismo voluto dal presidente Saied e un preciso obiettivo di influenzare la magistratura, l’opinione pubblica e i mass media. In questa maniera Saied utilizza l’arresto di politici per far vedere che sono loro i veri traditori del paese e coprire le carenze del suo esecutivo che ha aggravato la situazione sociale ed economica della Tunisia. I politici diventano i capri espiatori delle colpe della cattiva gestione da parte del presidente. Altrettanto preoccupante è il numero di arresti di numerosi esponenti politici delle opposizioni, senza che venga comunicato loro alcun capo di accusa o le forti ingerenze da parte dell’esecutivo del presidente per condizionare l’azione della magistratura tunisina.

In quest’ottica rientrano anche gli arresti di giornalisti, come quello di Noureddine Boutar proprietario di Mosaique FM, una delle più importante radio del paese, o dell’opinionista politico Faouzi Kammoun del quotidiano Businnes News Un chiaro tentativo di reprimere e condizionare la libera informazione, per limitare le voci discordanti dalla visione del presidente.

Disoccupazione ai massimi livelli, inflazione oltre il 10% e problemi con il Fondo Monetario Internazionale, come uscire da questa impasse?

Il principale problema è la mancanza di programmazione da parte dell’esecutivo con un preciso piano di riforme che dall’elezione di Saied non è stato attuato. Proprio per questo motivo non è stato ancora siglato nessun accordo con il Fmi, cosa che avrebbe dovuto avvenire già a fine dicembre. Bisogna anche ricordare che è la stessa situazione di quando al governo c’erano gli islamisti di Ennahdha, oggi raggruppati nel Fronte di Salute Nazionale (Fsn). Loro vorrebbero, al contrario di quanto sancito dalla costituzione, le dimissioni del presidente Saied per riottenere il potere, cosa che non risolverebbe in alcun modo le problematiche del paese. L’unica soluzione è la proposta di dialogo nazionale indicata dal sindacato dell’Ugtt (Unione Generale dei lavoratori tunisini, ndr), come avvenuto già nel 2015, per portare avanti quelle riforme che sono necessarie per il nostro paese e per ridare speranza al nostro popolo.

Lei è in Italia per parlare del comunismo in Tunisia, riguardo alla sinistra tunisina com’è la situazione oggi?

Penso che la sinistra tunisina abbia gli stessi problemi di quella italiana. Pur essendoci una forte necessità di soluzioni con una visione progressista relativa a giustizia ed equità sociale, la sinistra non riesce più a rappresentare questa esigenza e ad intercettare le fasce popolari che richiedono lavoro e diritti. La soluzione è quella di mantenere una forte identità, che nel tempo si è perduta, sulla propria visione politica per portare soluzioni concrete alla gente e allo stesso tempo riunire tutta quella costellazione di partiti della sinistra tunisina. La tradizione comunista nella storia della Tunisia ha indubbiamente favorito la nascita e la crescita di molte forze sindacali, sociali e dell’associazionismo. Non è un caso che l’unica forza che al momento può portare soluzioni concrete all’impasse politica è un sindacato con radici a sinistra: l’Ugtt.

Il professor Habib Kazdaghli durante una marcia di protesta a Tunisi contro l’islamismo salafita (Epa)