Le sedi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) si trovano in uno dei quartieri più eleganti di Tunisi. Qui dove hanno sede anche diverse ambasciate, tra cui quella degli Stati uniti e della Delegazione dell’Unione europea, negli ultimi anni hanno trovato un rifugio temporaneo centinaia di richiedenti asilo e persone migranti che nel corso del tempo hanno deciso di affidarsi a Oim per chiedere il rimpatrio volontario. Numeri che via via sono diventati sempre più consistenti con l’aumentare della violenza istituzionale. Dal febbraio 2023 infatti, quando il presidente della Repubblica Kais Saied ha accusato la comunità subsahariana presente nel paese di stare compiendo una vera e propria sostituzione etnica, le condizioni di vita si sono fatte estremamente precarie. Il 3 maggio scorso, per esempio, le forze di sicurezza hanno compiuto un’operazione per evacuare le tende e i migranti che si erano accampati in attesa di conoscere il proprio futuro lontano dalla Tunisia. Una motivazione è stata la necessità di assecondare la richiesta dei cittadini che da mesi stavano denunciando il degrado del quartiere. Alcuni di loro vengono dal Sudan, un paese che sta vivendo una profonda crisi interna. Il risultato è stato che 500 persone sono state sgomberate mentre un gruppo più ridotto, compresi dei minori, è stato deportato a 25 chilometri dall’Algeria senza acqua e cibo. Da quasi un anno è una pratica che ritorna frequentemente da parte delle autorità tunisine che stanno affrontando in maniera netta un’emergenza irrisolvibile in altre maniere, almeno secondo le dichiarazioni presidenziali.

Tuttavia tre giorni dopo l’evacuazione e la deportazione, alcune persone hanno presentato un ricorso di urgenza al Comitato per i diritti umani delle nazioni unite con il sostegno delle avvocate di Asgi, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, e di Refugees in Libya. La risposta non si è fatta attendere e il 10 maggio l’agenzia internazionale ha ordinato alla Tunisia le seguenti misure: «Di consentire l’assistenza umanitaria agli autori del reclamo; di fornire loro l’assistenza necessaria, compresa quella medica, tenendo conto del fatto che nel gruppo ci sono dei bambini; di non espellere le persone mentre il loro caso è in corso di esame da parte del Comitato; di prevenire qualsiasi minaccia, atto di violenza o rappresaglia a cui potrebbe essere esposto a seguito della presentazione di questa richiesta».

Negli stessi istanti in cui il Comitato si stava pronunciando, le autorità tunisine hanno però arrestato alcuni dei ricorrenti, tenuti in prigione per circa una settimana con l’accusa di ingresso illegale nel paese. A oggi alcuni di loro sono stati deportati in Algeria, altri assistiti in loco, altri ancora sono stati espulsi verso la Libia. «Il gruppo che si trova a Tebessa in territorio algerino è in una situazione di precarietà assoluta, non si possono muovere per motivi di sicurezza e non stanno ricevendo alcuna assistenza umanitaria», è la denuncia di David Yambio di Refugees in Libia.

Inoltre nel comunicato Asgi sottolinea come «il governo Tunisino sta facendo ampio ricorso a strumenti repressivi contro la società civile e contro le persone migranti, che da oltre un anno sono additate quale capro espiatorio, senza alcun riguardo per il rispetto dei diritti umani». Oltre alla deportazione sistematica di persone di origine subsahariana che avviene grazie anche ai finanziamenti europei a favore del Ministero degli interni tunisino (diverse forniture di mezzi ed equipaggiamenti vengono usati in questo tipo di operazioni), da inizio maggio una fitta campagna di arresti ha riguardato la società civile che da anni opera in ambito migratorio.

Ancora una volta quando si tratta di migrazione in Tunisia, tornano in mente le numerose visite di Stato che la premier italiana Giorgia Meloni ha effettuato negli ultimi mesi per aumentare la cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo: «L’Italia, nonostante le deportazioni di massa, gli arresti di esponenti della società civile, non ha condannato la condotta del governo tunisino, ma, al contrario, ha confermato di ritenere la Tunisia un paese di origine sicuro e continua a sostenere politicamente ed economicamente i dispositivi di controllo della mobilità messi in atto dal governo di Saied», sottolinea Asgi..