I sondaggi pubblicati ieri non premiano Benyamin Netanyahu, il suo partito di maggioranza relativa (Likud) e gli altri della coalizione di destra estrema al governo. Se le elezioni si tenessero oggi, l’Unione nazionale dell’ex capo di stato maggiore Benny Gantz otterrebbe 40 seggi, il Likud solo 18 seggi, secondo i dati riferiti dal giornale Maariv. Eppure, è prematuro dare per finito Netanyahu, che paga il non aver saputo prevenire l’attacco di Hamas del 7 ottobre dopo essersi presentato per anni come Mr. Sicurezza. A porgergli una fondamentale bombola di ossigeno è proprio l’iniziativa che l’Amministrazione Biden vorrebbe lanciare nelle prossime settimane per creare, durante un ipotetico cessate il fuoco (umanitario) di sei settimane a Gaza, le fondamenta di uno Stato palestinese nei Territori occupati da Israele nel 1967. La netta opposizione a questo progetto, manifestata più volte giovedì, permette a Netanyahu di ergersi di nuovo a baluardo della sicurezza di Israele e di rappresentante della volontà della maggior parte degli israeliani. E anche di presentarsi come il primo ministro che non esita a respingere seccamente le pressioni degli Stati uniti che pure sono l’alleato che aiuta con bombe, munizioni e generosi finanziamenti l’offensiva militare israeliana a Gaza. Quando si andrà a votare, tra qualche mese o forse un anno, il primo ministro israeliano forse potrà vantarsi di fronte all’elettorato di aver sventato il «diktat» Usa per la creazione dello Stato palestinese.

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Non sono pochi gli amici di Netanyahu e delle politiche del suo governo negli Stati uniti. Mentre giovedì notte il premier parlava al telefono con Joe Biden, le edizioni cartacee di Haaretz e Jerusalem Post arrivavano nelle edicole con l’appello del Rabbinical Congress of Israel affinché il presidente americano rinunci a dare appoggio alla fondazione dello Stato di Palestina accanto a Israele. Il testo dell’appello, che descrive l’apparire di uno Stato palestinese come l’inizio di un futuro distopico per Israele, gli alleati arabi degli Usa e l’intero Occidente, ricalca proclami ben noti di Netanyahu sulla malvagità e pericolosità dimostrata, a suo dire, il 7 ottobre dai palestinesi «tutti di Hamas e dell’Isis» e che non dovranno essere «premiati» con l’indipendenza che reclamano da decenni con l’appoggio di quasi tutto il mondo. Concetti che il premier israeliano sicuramente ha ripetuto a Biden quando i due hanno parlato al telefono per 40 minuti e qualche ora prima al capo della Cia William Burns.

In queste ultime settimane si è detto e letto più volte di dissensi crescenti tra i due vecchi amici Biden e Netanyahu, ma la destra israeliana non ritiene che il vero problema sia il presidente Usa passato dall’appoggio incondizionato a Israele dopo il 7 ottobre, alla richiesta di protezione per i civili di Gaza e ora al sostegno allo Stato palestinese. I problemi giungerebbero dal Segretario di Stato Antony Blinken descritto come un manipolatore e un «pasticcione seriale» da Ariel Kahana, editorialista del giornale Israel HaYom, il più diffuso in Israele e megafono della maggioranza di destra.

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«Diventa sempre più chiaro che il secondo segretario di stato americano ebreo è la persona più ostile che Israele abbia conosciuto negli ultimi decenni» ha scritto Kahana spiegando che Biden in realtà vorrebbe dare modo e tempo all’offensiva israeliana di raggiungere i suoi obiettivi a Gaza, anche attaccando Rafah, ma Blinken visita dopo visita nella regione «chiede più aiuti per Gaza e mette i bastoni tra le ruote dei carri armati israeliani». Non solo. Blinken sarebbe dietro la decisione degli Stati uniti di sanzionare quattro coloni israeliani per la loro violenza antipalestinese in Cisgiordania. «Le designazioni di questi quattro individui sono un modo per dire che gli Stati uniti non si fidano più del sistema giudiziario israeliano», ha denunciato Kahana che vede l’ombra di Blinken anche nel piano per lo Stato di Palestina accettato da un Biden quasi incapace di intendere e di volere.

Per Netanyahu e i suoi sostenitori, non solo nella stampa, lanciare la temuta offensiva su Rafah è la soluzione più efficace e immediata per far deragliare un accordo di tregua con Hamas e  i presunti piani americani e degli arabi per l’indipendenza palestinese. Sperano che il passare delle settimane e tolga all’Amministrazione Biden, nel pieno della campagna per le presidenziali, la premura di intervenire nelle vicende di Gaza.