Parte per Odessa la seconda Carovana della pace
Crisi ucraina Sabato 25 l'iniziativa di StoptheWarNow, 170 le associazioni aderenti e due obiettivi: portare aiuti umanitari e riportare in Italia chi ne ha bisogno, e affermare un principio di simbolica interposizione alla guerra e quella della pace. L'appoggio della Cei
Crisi ucraina Sabato 25 l'iniziativa di StoptheWarNow, 170 le associazioni aderenti e due obiettivi: portare aiuti umanitari e riportare in Italia chi ne ha bisogno, e affermare un principio di simbolica interposizione alla guerra e quella della pace. L'appoggio della Cei
Questa volta ci saranno meno mezzi e meno persone nel convoglio che sabato mattina partirà da Gorizia alla volta di Odessa, in una nuova Carovana di pace il cui senso è continuare il percorso iniziato a Leopoli nell’aprile scorso.
Allora furono 60 mezzi e diverse tonnellate di aiuti umanitari a raggiungere la città occidentale dell’Ucraina. Ma questa volta le associazioni aderenti al cartello StoptheWarNow – oltre 170 – hanno dovuto fare i conti con la guerra guerreggiata così che percorsi e date hanno subìto più variazioni.
ANDARE A ODESSA è una scelta forte perché significa entrare nella fornace del conflitto col rischio di diventarne un target. Le cose sono state preparate con cura, riunioni virtuali, chat, punti di raccolta, dettagliate informazioni logistiche, avvisi alle autorità. A Odessa c’è un’antenna della coalizione che fa capo a StoptheWarNow che aggiorna di continuo la segreteria organizzativa.
Il senso politico è molto chiaro: portare aiuti umanitari e riportare in Italia chi ne ha bisogno (anziani, bambini, disabili, mamme), ma anche affermare un principio – pacifista e non violento – di simbolica interposizione, anche di corpi, tra la logica della guerra e quella della pace.
Le sensibilità diverse delle sfaccettate anime del movimento per la pace italiano scommettono su questo cartello unitario dove ci sono associazioni laiche, religiose, non violente.
I cattolici, presenti con decine di sigle e forse i più numerosi, incassano anche il placet della Conferenza episcopale italiana dove, non a caso, è da poco presidente un cardinale, Matteo Zuppi, che oltre ad aver fama di «prete di strada», ha un passato da mediatore nelle file di Sant’Egidio.
Di più, la Cei assicura anche una presenza pesante: quella del vescovo di Cassano allo Jonio, Francesco Savino, Vice Presidente dell’istituzione. Parteciperà alla carovana accompagnato da alcuni volontari della Caritas.
LE ORGANIZZAZIONI LAICHE ci saranno comunque con una vasta rappresentanza, testimoni anche di battaglie sull’obiezione di coscienza, sindacali o di attenzione alle minoranze Lgbtq+.
La carovana, oltre a raccogliere cibo e medicinali, si è nutrita infatti anche delle molte riunioni, incontri, festival (come l’Eirene Festival di maggio a Roma) in cui si è cercato di declinare la parole guerra nelle mille forme che purtroppo conosciamo: dalle fibrillazioni governative – triste spettacolo a fronte di un Paese che i sondaggi dipingono come fortemente contrario all’invio delle armi – al problema dell’accoglienza, in cui non mancano le discriminazioni verso comunità che hanno la sfortuna di non essere ucraine.
Declinazioni complesse – dove appare evidente l’interesse dell’apparato militar industriale – ma in cui si muove , ragionando, un movimento che è una delle migliori espressioni della società civile italiana (come si può leggere nelle adesioni alla coalizione su stopthewarnow.eu).
Nella logica della carovana c’è anche l’evidente spinta dal basso a fare di più che non limitarsi a secretare la lista degli armamenti per l’esercito ucraino: una mancanza di diplomazia, un’assenza dell’Onu, un’incapacità europea di formulare proposte francamente imbarazzanti. Tant’è, nessuno si illude che marce e convogli possano fermare le guerra.
MA QUESTA SFILATA di corpi ha il senso di esserci. Con la propria presenza fisica oltreché con i pensieri, i medicinali e gli slogan. Non finirà a Odessa. A luglio si partirà di nuovo come a garantire un flusso virtuoso senza interruzioni. L’idea di fondo è quella di creare luoghi fisici fissi in almeno tre città ucraine: Leopoli, Kiev e Odessa, garantiti dalla presenza a rotazione di decine di volontari.
A Odessa sono previsti diversi incontri con autorità civili, religiose e associative. Ma l’agenda resta incerta come lo sono possibili spostamenti in altri luoghi fuori dalla grande città portuale. E forse non ci sarà la possibilità di una marcia simbolica, come avvenuto a Leopoli in aprile, perché le condizioni sul campo potrebbero non permetterlo.
Ci sarà però la possibilità di far sapere agli ucraini che c’è una solidarietà italiana che sembra ricalcare la grande mobilitazione che abbiamo visto durante la guerra nei Balcani dove all’aspetto umanitario, anche di singoli cittadini partiti da soli alla volta di Sarajevo, si accompagnava il ripudio netto della guerra. Espresso fisicamente da chi si espose come target sui ponti di Belgrado.
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