Papa Francesco d’Oriente
39mila chilometri in 13 giorni Pace e diritti civili nel lungo viaggio del pontefice che ha toccato Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore
39mila chilometri in 13 giorni Pace e diritti civili nel lungo viaggio del pontefice che ha toccato Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore
ll viaggio di papa Francesco in Oriente ha toccato quattro paesi, Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore, lambendo anche Filippine e Malesia. È il secondo spostamento in Asia del suo papato, ed era stato annunciato da tempo. L’attesa era montata negli ultimi mesi, per l’insistenza di Bergoglio su alcuni temi, diritti civili e democrazia, impegno per uno sviluppo sostenibile, intelligenza artificiale, migranti; e per la pericolosa congiuntura internazionale, due guerre in corso in Europa e sul lato Est del Mediterraneo, quindi il tema della pace tra i popoli, il rischio di conflitto mondiale anche nucleare, la condanna dell’industria bellica dei “mercanti di morte”. Tutti punti che avrebbero incontrato attinenza nei paesi da visitare.
Prima tappa Jakarta, il 3 settembre con l’incontro con i fedeli di S Egidio e quello interreligioso presso la Grande Moschea, poi altri impegni fino al giorno 6, quando si reca nella contigua Papua Nuova Guinea. Grande messa a Port Moresby, incontri istituzionali e con i fedeli. Lunedì 9 sbarco nella cattolicissima ex colonia portoghese di Timor Est, con bagno di folla nella capitale Dili. Giovedì 12 partenza per Singapore, l’avveniristica città-stato bella, pulita, ordinata, efficiente, ma mal sopportata da buona parte della popolazione per lo stile oligarchico del partito al potere che intreccia azione di governo con affari; per la corruzione; per la mancanza di libertà, scarsa anche quella concessa ai media. Su tutto ciò si sofferma Bergoglio. Dopo aver lodato i grandi successi che hanno fatto di Singapore una delle capitali economiche mondiali, lancia moniti in tema di diritti civili. Soprattutto spende parole di sostegno verso i numerosi immigrati, manovalanza per opere sfarzose che non godrà dei benefici dello sviluppo. Questo “non è giusto” scandisce il Papa.
A Giava, la più popolosa isola dell’arcipelago indonesiano, sorge Borobudur, sorprendentemente il tempio buddista più grande del mondo. Sorge cioè nel paese con popolazione in stragrande maggioranza di fede islamica, non lontano dalla città di Yogjakarta, sede del Sultano. Patrimonio dell’Unesco, esso fu realizzato prima dell’insediarsi dei commercianti arabi che introdussero l’Islam nell’arcipelago a partire dal XIV secolo. Come mole, è paragonabile alle piramidi egizie.
Altra annotazione importante riguarda il terrorismo, e Bergoglio ha insistito su questo tema. Ha citato l’attentato di Bali del 12 ottobre 2002, nella zona turistica di Kuta. Una o più bombe furono fatte esplodere in un’auto di grossa cilindrata nella zona dei famosi locali notturni in Legian street. Ci furono 202 morti. Ancora sull’Indonesia. Ci vivono duecentosettanta milioni di persone, quarto paese al mondo per popolazione, è al primo posto invece per numero di praticanti di fede islamica. Nella capitale Jakarta il traffico è davvero caotico. Si verificano a volte inondazioni che si esauriscono solo dopo alcuni giorni.
Nel 1989 mi trovavo in zona per dei servizi dal Vietnam per il manifesto e dalla redazione approfittarono dell’occasione, chiedendomi un reportage sulla visita, allora, di Karol Wojtila in Indonesia. Infine, importante è ricordare cosa è il Panchasila. Esso venne adottato da alcuni politici come il presidente Sukarno per la redazione della costituzione indonesiana del 1945. Comprende cinque principi ritenuti inseparabili e interdipendenti su cui si fonda il governo indonesiano: Fede nell’unico e solo dio; Giustizia e civiltà umana; Unità dell’Indonesia; Democrazia guidata dalla saggezza interiore dell’unanimità derivata dalle delibere dei rappresentanti; La giustizia sociale per tutto il popolo indonesiano.
In realtà la storia della giovane repubblica alterna periodi di pace sociale con episodi o addirittura periodi di violenza. Il più grave tra questi si ebbe nel1966, quando mezzo milione, c’è chi dice anche un milione d’indonesiani, erano stati massacrati da soldati e polizia pro Suharto. Questi, secondo presidente dell’Indonesia, andò al potere nel 1967 per mezzo di un colpo di Stato perpetrato contro Sukarno. Gli anni del governo di Suharto furono segnati da una forte repressione.
Venerdì 6 settembre l’aereo pontificio si è staccato dal suolo indonesiano per entrare in Papua Nuova Guinea. Il vero nome di questo territorio è Asmat, ma nessuno lo usa più, e ciò suona un po’ ingeneroso verso una cultura nota ai più raffinati collezionisti d’arte etnica antica del mondo. Francesco è atterrato nella capitale Port Morsbery dove ha letto un discorso in cui ha lodato la spinta propulsiva degli avi dell’attuale popolazione Papua, o anche Asmat, ancorché alcuni, forse molti, di loro furono cacciatori di teste. Ha invitato a rispettare l’ambiente, le foreste andando riducendosi a una velocità ormai insostenibile per il taglio delle ambite specie locali destinate verso i paesi consumatori, specie quelli più ricchi. Ha inoltre ammonito questi paesi e la finanza e il mercato internazionali a nuove regole di mercato, con prezzi più equi nei confronti dei produttori.
Sulla rotta di ritorno in Italia, l’usuale conferenza stampa in aereo, domande e risposte sempre le stesse. O quasi. A fare titolo è la presa di “equidistanza” dai due candidati alle imminenti elezioni statunitensi: Kamala Harris è filo-aborto, Donald Trump è anti-migranti. Entrambi, taglia corto Bergoglio, sono “contro la vita”.
Rientrando a Roma, il nostro ultra ottantenne determinato e pimpante, ha percorso quasi 39.000 chilometri in un lasso di tempo di tredici giorni; più di quanti la gran parte della popolazione mondiale percorre nell’arco di una vita.
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