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Palestina-Israele, conversazione tra due alleati su fronti opposti

Lafayette Park, New York, 5 ottobre 2024: manifestazione per il cessate il fuoco in Palestina (foto Ap/Jose Luis Magana)Lafayette Park, New York, 5 ottobre 2024: manifestazione per il cessate il fuoco in Palestina – Ap/Jose Luis Magana

In dialogo Meron Rapoport e Awni Al-Mashni hanno passato anni incontrandosi con israeliani e palestinesi in tutto il territorio per discutere di visioni per il futuro. Esistono ancora risposte?

Pubblicato circa 6 ore faEdizione del 2 novembre 2024

Pubblichiamo la conversazione apparsa su Local Call e 972mag.

Awni Al-Mashni e io ci conosciamo da oltre un decennio. Abbiamo la stessa età e viviamo a un’ora di macchina l’uno dall’altro – lui a Betlemme, io a Tel Aviv. Ma le nostre storie personali sono completamente diverse: io ho fatto il servizio militare nell’esercito israeliano, mentre Awni ha scontato una lunga pena nelle carceri israeliane per la sua attività con Fatah.

Eppure, quando un amico comune palestinese ci ha fatti conoscere, ci siamo immediatamente accorti che condividevamo dei valori, e, cosa più importante, che avevamo una visione comune.

Sulla base di questi valori e di questa visione, nel 2012 insieme abbiamo fondato un’organizzazione che inizialmente abbiamo chiamato “Due Stati, una Patria” (Two States One Homeland), ora conosciuta come “Una terra per tutti” (A Land for All), che propone una traccia per una soluzione confederale al conflitto israelo-palestinese.

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Da allora ci siamo incontrati centinaia di volte, abbiamo viaggiato insieme attraverso Israele e la Cisgiordania e abbiamo parlato con migliaia di israeliani e palestinesi. Ci sentiamo per telefono – in arabo, dato che Awni non parla l’ebraico né l’inglese – almeno due o tre volte a settimana, a volte più spesso. Non siamo diventati solo partner politici, ma amici.

In questi lunghi anni abbiamo dovuto superare non poche gravi crisi nelle relazioni israelo-palestinesi: la guerra di Gaza del 2014, l’“Intifada dei coltelli” del 2015, la Grande Marcia del Ritorno del 2018, l’“Intifada dell’unità” del 2021 e molte altre. Ma nessuna crisi somiglia neanche lontanamente al 7 ottobre e al brutale attacco di Israele a Gaza che ne è seguito. Da allora ci accompagnano lo choc di quel giorno e la profonda paura per il futuro di questa terra.

In occasione del primo anniversario della guerra, Awni e io abbiamo registrato una nostra conversazione. Già prima di cominciare sapevamo che ci sarebbe stato un limite al modo in cui il dialogo si sarebbe potuto sviluppare: Awni, per quanto sia sensibile, non può comprendere la profondità dello choc emotivo che ho provato rispetto alle atrocità che Hamas ha inflitto il 7 ottobre; e io, per quanto sia sensibile, non posso comprendere la profondità del suo choc emotivo di fronte alle deliberate uccisioni di massa del suo popolo a Gaza.

Inoltre questa non era una conversazione tra eguali. Io sono sul lato dell’occupante, Awni è sul lato dell’occupato. Mentre non nego la responsabilità di Hamas e di altri gruppi palestinesi per i crimini che sono stati commessi, sono profondamente convinto che il fondamento di tutta la violenza tra israeliani e palestinesi risieda in ciò che il mio stato e il mio popolo hanno fatto e continuano a fare ogni giorno. Fino a quando noi come israeliani non correggeremo questa ingiustizia, né noi né i palestinesi saremo in grado di vivere qui in pace.

La seguente trascrizione della conversazione è stata rivista per accorciare e rendere più chiaro il testo.

Meron: Ti voglio ricordare la conversazione che abbiamo avuto un anno fa, il 7 ottobre. Non ricordo quale di noi due disse che gli attacchi erano inaspettati eppure del tutto prevedibili. Secondo me ci si aspettava che l’assedio su Gaza un giorno sarebbe esploso e che l’intera situazione sarebbe collassata. Quello che non avrei potuto prevedere è la brutalità delle azioni di Hamas quel giorno – l’uccisione di civili nelle loro case, il massacro al Nova festival – così come l’incapacità dell’esercito israeliano di proteggere i civili. Cosa ricordi di ciò che hai provato quel giorno?

Awni: Per me è difficile pensare a quanto provato quel giorno dopo tutto ciò che è successo da allora. Il dato di fatto è che fino a quando ci sarà occupazione, fino a quando il popolo palestinese sarà attaccato e incarcerato, le cause alla radice del 7 ottobre continueranno a esistere. Non so cosa succederà, ma so che il popolo palestinese non accetterà per sempre che la situazione rimanga così com’è. Il 7 ottobre è stato Hamas. In futuro potrebbero essere altre organizzazioni, più radicali. Arriveranno dalla Cisgiordania? Dalla Giordania? Non lo so, ma arriveranno.

Meron: Non ti ho chiesto cosa pensi ora, ho chiesto cosa hai provato il 7 ottobre. Qual è stata per te la sorpresa più grande quel giorno?

Awni: La sorpresa più grande è stata che Hamas sia riuscito a fare una cosa del genere e la debolezza dell’esercito israeliano. Quel giorno mi sono reso conto che Hamas aveva ucciso un sacco di civili. Io sono contrario all’uccisione di civili, chiunque e ovunque essi siano. Sono contrario all’uccisione di civili in un festival, contro l’uccisione di donne e bambini, israeliani, palestinesi, stranieri. Ho espresso queste opinioni con chiarezza, ho scritto articoli in proposito e continuo a essere di quest’idea. L’uccisione di 40mila palestinesi a Gaza da parte di Israele non ha modificato questo sentire; è inaccettabile uccidere quasi mille civili israeliani, tanto quanto lo è che Israele commetta massacri a Gaza.

Nel kibbutz Kissufim, Israele, 7 ottobre 2023 (foto di Francisco Seco/Ap)

Meron: In quel momento ci era chiaro che dopo quello che era accaduto il 7 ottobre, la risposta israeliana sarebbe stata pesante e violenta. Ti aspettavi quello che poi è successo?

Awni: Onestamente no. Mi aspettavo che ci sarebbero stati morti, bombardamenti, un’invasione di Gaza. Ma su questa scala? Non me lo aspettavo. E per me la sorpresa più grande non è stata la risposta dell’esercito, ma l’entità del sostegno da parte dell’opinione pubblica israeliana per le uccisioni e la fame.

Pensavo che l’esercito israeliano avrebbe commesso crimini di guerra, ma che ci sarebbe stata una società israeliana con valori umani e morali che non lo avrebbero accettato. Ricordo che mezzo milione di israeliani a Tel Aviv protestarono contro il massacro di Sabra e Shatila [nel 1982] e costrinsero [il ministro della difesa Ariel] Sharon [che fu ritenuto responsabile di aver autorizzato il massacro] a istituire una commissione di inchiesta. Pensavo che mezzo milione di israeliani si sarebbero fatti sentire contro i massacri a Gaza. Il fatto che la società israeliana sia diventata più estrema dell’esercito – arrivando ad accusarlo di non ammazzare abbastanza – per me è stata una sorpresa.

Come vedi la società israeliana oggi, in cui giornalisti negli studi televisivi distribuiscono dolci e cioccolatini, stappano champagne per festeggiare gli ammazzamenti?

Meron: Neanch’io mi aspettavo che Israele avrebbe raggiunto questo livello di violenza e barbarie. Mi fa male che persone che vedo per la strada, nei caffè, negli ospedali, possano aver commesso o sostenuto questi crimini. Sento quello che dice la gente e mi vergogno.

Abbiamo lavorato insieme per la pace, l’uguaglianza e per l’accettazione reciproca tra ebrei e palestinesi per oltre 12 anni. Ma ora mi chiedo se la società israeliana accetterà mai che ci sia un altro popolo in questa terra e che a quel popolo spettino dei diritti. Mi chiedo se i nostri sforzi di tutti questi anni abbiano avuto qualche impatto, e non ho una risposta.

Gli israeliani non vedono ciò che è successo il 7 ottobre come lo vedi tu. Hanno visto solo l’incomprensibile barbarie di Hamas. Molti israeliani hanno parenti che sono stati uccisi e io comprendo il loro desiderio di vendetta. Siamo esseri umani. Ma abbiamo raggiunto un punto in cui non c’è più alcun limite a ciò che può fare Israele.

Ora mi chiedo se la società israeliana accetterà mai che ci sia un altro popolo in questa terra. Mi chiedo se i nostri sforzi di tutti questi anni abbiano avuto qualche impatto, e non ho una rispostaMeron Rapaport

Awni: Forse si può capire, per ragioni umane, che quanto è successo il 7 ottobre susciti desiderio di vendetta. La domanda è, cosa nascerà da quello che sta succedendo a Gaza? Cosa succederà alla generazione palestinese che ne viene forgiata? Come cresceranno i bambini palestinesi? Saranno in grado di vedere un israeliano come un partner? Non ho una risposta a queste domande.

Meron: Cosa dici alle persone che ti fanno domande in proposito? Dopotutto, la gente sa che fai parte di un’organizzazione che comprende israeliani e palestinesi.

Awni: La persone mi chiedono “Come possiamo vivere con questa gente che va alle manifestazioni che chiedono che siano uccisi ancora più palestinesi o che bloccano i camion che portano aiuti a Gaza?”. Posso forse rispondere “Sono solo arrabbiati per il 7 ottobre”? Quello che stiamo vedendo è più di una reazione al 7 ottobre: è un piano politico per espellere e distruggere.

Palestinesi pregano prima della sepoltura dei caduti all’ospedale al Shifa di Gaza, foto Ap

Meron: Abbiamo fatto molti incontri con israeliani. Se ci dicessero di fare un incontro del genere ora, cosa diresti a chi ti chiede come gli israeliani possono vivere con i palestinesi dopo quello che abbiamo visto il 7 ottobre – e rispetto al fatto che tutti i sondaggi sulle opinioni mostrano che sia in Cisgiordania sia a Gaza la maggioranza dei palestinesi sostiene quello che è successo il 7 ottobre?

Awni: Questa è una domanda logica e giusta. Ma gli israeliani hanno la memoria corta. Tre quarti dei palestinesi erano a favore degli accordi Oslo e della pace con gli israeliani. A Gerico, palestinesi scesero in strada e stesero rami di ulivo davanti ai carri armati israeliani. Ma 30 anni dopo i palestinesi non hanno ancora avuto i loro diritti. Tu mi chiedi perché la società palestinese sostiene la resistenza? Perché quando i palestinesi si mettono dalla parte della pace, continuano a non ottenere i loro diritti.

I palestinesi hanno accettato i due stati all’interno dei confini del 1967, una Palestina demilitarizzata, e una supervisione internazionale. Ma Netanyahu non si è impegnato in negoziati con i palestinesi per oltre un decennio. Se ai palestinesi non viene riconosciuto uno stato, se non viene loro permesso di condurre una vita normale, senza dover sopportare la violenza dei soldati e di coloni armati e l’esproprio della loro terra, come ci si può aspettare che non sostengano Hamas?

Meron: Di recente ho ascoltato una discussione con il Dr. Basem Naim della dirigenza di Hamas, alla quale hai partecipato anche tu. Gli hai chiesto perché Hamas ha deciso sull’operazione del 7 ottobre per conto proprio e perché non ha preparato e protetto la popolazione di Gaza. Ripensandoci ora, credi che Hamas abbia commesso un errore?

Awni: Forse l’azione è stata un errore, e forse non andava eseguita in quel modo. Bisognava vietare l’uccisione di civili israeliani. Ma era impossibile che la situazione a Gaza si perpetuasse all’infinito. Era impossibile che Gaza rimanesse sotto assedio per altri 20 o 30 anni, che [il ministro delle sicurezza nazionale israeliano Itamar] Ben Gvir continuasse a fare quello che ha fatto nelle carceri per altri 10 o 20 anni, che gli insediamenti in Cisgiordania continuassero a espandersi come accade oggi. Forse il 7 ottobre in sé è stato un errore, ma non si può continuare a togliere ai palestinesi la loro terra a poco a poco, uccidere i loro figli, demolire le loro case, e aspettarsi che non reagiscano.

Il ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir distribuisce armi ad Ashkelon , foto Ap
Il ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir distribuisce armi ad Ashkelon , foto Ap

Voglio fare io a te una domanda: se non ci fosse stato il 7 ottobre, i palestinesi avrebbero uno stato? Avrebbero i loro diritti? Verrebbero trattati meglio? Mi hai detto che il 7 ottobre ha fatto arrabbiare gli israeliani – li ha fatti infuriare talmente da fare cose irrazionali. Ma anche quello che è successo ai palestinesi dal 1967 a oggi, non può aver reso i palestinesi furibondi e irrazionali?Anche gli eventi del 7 ottobre, e quello che è accaduto in seguito – non negano il fatto che ci siano due popoli in questa terra e che entrambi i popoli non possano proseguire per sempre in questo percorso di violenza continua.

Meron: Ne sei convinto? Nonostante tutto quello che è successo?

Awni: Ne sono convinto, sì. Si può provare rabbia per quello che è successo a Gaza, ma la realtà sul campo è che ci sono sette milioni di israeliani e sette milioni di palestinesi in questa terra. La guerra non cambierà questo dato, nemmeno se l’Iran o la Siria dovessero entrare nel conflitto, o se Israele dovesse occupare Baghdad.

Io sono convinto che dobbiamo trovare una modalità in cui questi due popoli possano vivere insieme, ma non con un popolo che domina l’altro, lo opprime e lo conquista. Io penso che la società israeliana sia malata e bisognosa di guarire – e non solo perché le delusioni di Israele mettono in pericolo i palestinesi, ma perché mettono in pericolo Israele stesso.

Meron: Perché?

Awni: Perché oggi l’intero Medio Oriente è convinto che Israele sia un pericolo per la regione e che sia impossibile vivere al suo fianco. Questo è vero non solo per i palestinesi, ma per gli egiziani, i giordani, i siriani, i libanesi, gli iracheni, gli iraniani e i kuwaitiani. In Giordania pensano che Israele sia capace di espellere milioni di palestinesi dalla Cisgiordania oltre il confine, evento che costituirebbe una minaccia per il regno hashemita. Anche l’Egitto considera una minaccia l’espulsione di due milioni di gazawi verso il proprio territorio. Se l’intera regione percepisce Israele come una minaccia, io credo che gli israeliani debbano pensarci due volte.

Meron: Abbiamo lavorato insieme per oltre un decennio. Quali pensi possano essere le basi perché una lotta comune israelo-palestinese possa andare avanti? Abbiamo una possibilità?

Awni: Io penso che la guerra possa essere trasformata in opportunità: può portare a pensare in modo diverso. Il popolo palestinese non è stato eliminato e gli israeliani non sono stati eliminati, quindi dobbiamo cercare un’opzione diversa. I palestinesi stanno vivendo una crisi esistenziale per cibo, acqua, carceri, centri di detenzione. Gli israeliani stanno vivendo la crisi del domani, temendo per il proprio futuro.

Possiamo superare queste crisi e raggiungere una vera pace, ma questo richiede un cambiamento nel modo di pensare e nella politica – un cambiamento che richiede l’impegno più degli israeliani che dei palestinesi. Gli israeliani hanno le chiavi, controllano l’intero Paese, opprimono il popolo palestinese.

Meron: E quale impegno è richiesto ai movimenti palestinesi?

Awni: I palestinesi oggi non possono ascoltare l’israeliano. Se un israeliano parla alla società palestinese, non sarà ascoltato. L’israeliano deve lavorare all’interno di Israele. Il palestinese deve lavorare all’interno della società palestinese, ma non c’è molto da dire ai palestinesi. Io non ho risposte, Meron. Ho perso le mie risposte nei confronti dei palestinesi. Mi aspetto che ciascun israeliano mi dia risposte perché io possa trasmetterle al popolo palestinese.

Meron: Neanch’io ho risposte. Io penso che Israele abbia perso il senno; non pensa al giorno dopo. Dopo il recente attacco dell’esercito a Tulkarem, un’amica palestinese mi ha scritto che noi, gli attivisti ebrei, dobbiamo organizzarci e alzare la voce contro questi crimini. Ora o mai più. Questo non è il tempo per le soluzioni, mi ha scritto, questo è il tempo di unirsi alla lotta dei tuoi fratelli palestinesi.

Che la Corte Internazionale di Giustizia deliberi o meno che la guerra di Israele a Gaza costituisce genocidio, è chiaro che Israele vuole cancellare l’esistenza palestinese nella Striscia, e forse anche in Cisgiordania. Quindi non è il momento di conversazioni su soluzioni – questo è il tempo della lotta.

Le strade distrutte dai bulldozer israeliani a Tulkarem foto Epa/Alaa Badarneh
Le strade distrutte dai bulldozer israeliani a Tulkarem (foto Epa/Alaa Badarneh)

Awni: Gli ebrei israeliani oggi hanno paura di far sentire la propria voce perché la loro società è di destra, razzista, e carica di odio. E allora un israeliano dovrebbe venire a dirmi che si identifica con me? Questo non mi aiuta. La sconfitta della destra ideologica in Israele oggi non è solo nell’interesse dei palestinesi, è anche nell’interesse degli ebrei israeliani che pensano che Israele debba continuare a esistere. Perché alla fine questa politica [di destra] può portare a una cosa sola: che Israele cessa di esistere. Non porterà riconciliazione o coesistenza.

Meron: Perché hai detto che identificarsi con te non basta?

Awni: Tu sei parte di una società che commette crimini di guerra. Non è necessario che tu dica che ti identifichi con me. Tu devi cambiare la situazione politica per impedire a Israele di commettere crimini di guerra. È questo Il tuo lavoro, la tua responsabilità: costruire una società fondata sull’umanità, sul rispetto per gli altri, su eguali diritti. Spiegami, da un punto di vista ebraico [israeliano], la logica che scusa ciò che Israele sta facendo il Libano, a Gaza, e in Cisgiordania.

Meron: Questa è una domanda che pongo a me stesso. Sono d’accordo che quello che sta facendo Israele distruggerà la sua esistenza. È nel mio interesse di ebreo lottare contro questo modo di pensare. Ma allo stesso tempo so che la maggior parte degli ebrei israeliani sostiene l’attacco a Tulkarem, alle scuole a Gaza, al Libano. Non ascolteranno una voce diversa.

E quando la mia amica palestinese dice che l’unica cosa che possono fare gli attivisti ebrei è unirsi alla lotta palestinese, cosa pensi di questo approccio?

Awni: Non c’è bisogno di unirsi alla lotta palestinese, molte grazie. Ci sono abbastanza attivisti dalla parte palestinese. Quello che serve è che l’ebreo israeliano adempia al suo ruolo all’interno della sua società, a prescindere dai palestinesi. Abbiamo bisogno che voi agiate a Tel Aviv, Haifa, Ashdod, con i partiti ebraici, con le istituzioni ebraiche, con gli studenti ebrei, e che diciate loro che ciò che sta succedendo è sbagliato, e che sta distruggendo la vostra esistenza, il vostro futuro.

Anch’io vedo gli israeliani come portati qui dal colonialismo britannico, ma sono diventati un popolo qui. Non so chi sia arrivato prima di chi. Ma alla fine ci sono due popoli in questa terra, due popoli e una patria Quando parlavamo di un’unica patria, volevamo uscire dalla questione storica. Non sei obbligato a rinunciare alla tua narrazione storica, né io sono obbligato a rinunciare alla mia, e riconosciamo che questa è la patria di due popoliAwni Al-Mashni

Meron: Io penso che una delle cose che gli ebrei israeliani più desiderano sentirsi dire dai palestinesi, è che siamo benvenuti in questa terra, che i palestinesi accettano la presenza ebraica qui. Ma la maggior parte dei palestinesi vedono gli israeliani come un prodotto del colonialismo britannico, non come parte del Paese. Forse non è il momento giusto [per chiedere cose del genere], ma per me è importante.

Awni: Anch’io vedo gli israeliani come portati qui dal colonialismo britannico, questo non si può negare. Ma sono diventati un popolo qui. Gli americani sono coloni arrivati dall’Europa, ma alla fine hanno creato un popolo. Mi stai dicendo che dovrei riconoscere agli ebrei in Palestina un diritto storico di 3,000 anni fa? Non so cosa sia successo 3,000 anni fa, non sono un archeologo, né può un archeologo dire chi ha il diritto [alla terra oggi]. Mi occupo della realtà politica. Non so chi sia arrivato prima di chi. Ma alla fine io riconosco che ci sono due popoli in questa terra.

Quando parlavamo di un’unica patria, volevamo uscire dalla questione storica. Non sei obbligato a rinunciare alla tua narrazione storica, né io sono obbligato a rinunciare alla mia, e riconosciamo che questa è la patria di due popoli. “Due Stati, una patria” risolve questa equazione. Io considero Jaffa parte della mia patria, ma in pratica è parte di un altro stato. Tu puoi considerare Hebron come meglio credi, ma è parte dello stato palestinese.

Meron: Nonostante tutto quello che è successo, credi che ci sia una possibilità di riconciliazione tra ebrei e palestinesi?

Awni: Perché non dovrei crederlo? Chi ha perpetrato l’Olocausto? I tedeschi. Quindi com’è possibile che Israele abbia buone relazioni con la Germania? Chi ha colonizzato l’Algeria per sfruttarla? I francesi. Quindi com’è possibile che ci siano buone relazioni tra cittadini francesi e cittadini algerini? Le guerre sono dure e generano odio. Se vuoi superare l’odio, devi produrre eguali interessi. La gente vive il passato a partire dal dolore, ma pensa di più al futuro.

Manifestazione per la Palestina e il Libano per l'anniversario del 7 ottobre a New York
Manifestazione per la Palestina e il Libano per l’anniversario del 7 ottobre a New York, foto Ap

Meron: All’inizio di questo mese sono stato in Italia dove ho incontrato diversi palestinesi. Uno di loro ha lasciato Gaza durante la guerra e un’altra ha lasciato Gaza cinque anni fa, ma la sua intera famiglia è ancora lì. Ci siamo trovati d’accordo facilmente sul fatto che ci dovrebbe essere uguaglianza per tutti coloro che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, in una situazione in cui nessun popolo gode di una superiorità sull’altro, e io, come ebreo, non ho diritti in più rispetto ai palestinesi. Siamo vicini. I linguaggi sono simili.

Awni: Io credo in questo discorso, ma c’è una classe politica – specialmente in Israele, e forse anche Hamas – che deve ragionare in modo diverso. Forse gli stessi eventi dello scorso anno aiuteranno a modificare il loro modo di pensare.

Meron: In che modo?

Awni: Quando il progetto espansionista di Israele arriverà a un punto morto, quando gli israeliani arriveranno alla conclusione che non può essere attuato con la violenza e che i palestinesi – nonostante tutto ciò che gli è successo – sono presenti e hanno dei diritti, questo ci porterà su un percorso diverso. Ci vorrà tempo. Non so quanto.

L’equilibrio dei poteri è importante, ma sta anche cambiando. Nel giro di poco tempo l’Unione Sovietica è passata dall’essere una superpotenza al non esistere più. Il mondo sta cambiando. Israele è un paese forte, ma questo potrebbe cambiare. Se gli israeliani fanno affidamento unicamente sull’equilibrio di poteri attuale, potranno ottenere vittorie a breve termine, ma alla lunga sarà la fine.

Traduzione a cura di Sveva Haertter

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