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Il massacro di Hula del 31 ottobre ’48 e lo sciismo politico

Il busto del generale iraniano Soleimani, uccisi nel 2020, di fronte a una sede di Hezbollah distrutta da un raid israeliano foto ApIl busto del generale iraniano Soleimani, uccisi nel 2020, di fronte a una sede di Hezbollah distrutta da un raid israeliano – Ap

Medio Oriente Settantasei anni fa il neonato stato di Israele compiva una strage nel villaggio libanese. La successiva marginalizzazione della comunità sciita si è ribaltata, decenni dopo, con l'ascesa di Hezbollah

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 31 ottobre 2024

Più di 1.600 libanesi (in larga parte civili) sono stati uccisi nelle ultime sei settimane, a fronte di 34 civili uccisi nel nord di Israele nel corso degli ultimi 12 mesi. L’emittente televisiva pubblica britannica Channel 4 ha documentato che tra l’8 ottobre 2023 e il settembre 2024 il rapporto di attacchi (missili e artiglieria) tra Israele ed Hezbollah è stato di cinque a uno in favore di Israele.

AirPressure.info ha registrato 22.355 violazioni dello spazio aereo libanese compiute dalle forze israeliane tra il 2007 e il 2022.
Fatta salva la pregnanza di questi numeri, è bene tenere a mente che la storia parte da molto più lontano e la data odierna è forse la più adatta per scriverne.

IL 31 OTTOBRE di 76 anni fa, in una fase storica in cui il Libano poteva contare su un minuscolo esercito, venne perpetrato il massacro di Hula, un villaggio libanese conquistato dall’esercito israeliano senza incontrare alcuna resistenza. 45 persone inermi vennero mitragliate all’interno di un edificio: il tetto venne fatto poi esplodere sopra le loro teste.

Il principale responsabile del massacro, Shmuel Lahis, ricevette un’amnistia, assumendo in seguito prestigiosi incarichi, incluso il ruolo di direttore dell’Agenzia ebraica.

L’anniversario odierno rappresenta solo un esempio (Qadas, Ebel Al-Qamh, Saliha e diversi altri villaggi locali vennero segnati da storie più o meno simili): ci ricorda per l’appunto che le cicatrici che legano quel martoriato lembo di terra sono radicate in una storia di lungo corso.

Un discorso analogo vale per Hezbollah, sulle cui radici storiche ho pubblicato tre anni fa un libro intitolato Sciismo e potere. Qui basterà accennare al fatto che quando nel 1982 l’allora ministro della difesa israeliano Ariel Sharon invase il Libano, le sue truppe dovettero attraversare la parte meridionale del paese.

LA POPOLAZIONE locale, a chiara prevalenza sciita, accolse i soldati israeliani in modo molto favorevole. Erano infatti percepiti alla stregua di “liberatori” impegnati, tra gli altri obiettivi, a contrastare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Oli), accusata di aver trasformato l’intera area in una sorta di “Stato nello Stato”.

Nelle parole di Uri Avnery, un protagonista di quei giorni, né Sharon “né alcun altro prestò molta attenzione agli sciiti […] ovvero la componente più vessata e indifesa della popolazione locale. Le forze israeliane, tuttavia, prolungarono la loro permanenza [per 18 anni]. Gli sciiti impiegarono poche settimane per comprendere che Israele non aveva alcuna intenzione di lasciare l’area. Fu proprio allora, per la prima volta nella loro storia, che decisero di ribellarsi” e organizzarsi.

La nascita di Hezbollah deve molto alla rivoluzione iraniana del 1979 – a sua volta riconducibile in larga parte a una serie di dinamiche innescate 26 anni prima con il rovesciamento del governo democraticamente eletto guidato da Mossadeq – nonché alle ideologie promosse dall’āyatollāh al-ʿuzmà (grande ayatollah) Khomeyni.

L’ascesa del “Partito di Dio” sarebbe tuttavia rimasta in una dimensione astratta o utopica qualora non si fossero verificate una serie di condizioni. Oltre agli aspetti finora citati, l’affermazione dell’“attivismo sciita” (concetto coniato a seguito della Rivoluzione del 1979) deve infatti molto a precisi snodi storici, a cominciare dalle dinamiche legate alla guerra civile che ha sconquassato il Libano dalla metà degli anni Settanta, nonché al triangolo israelo-sciita-palestinese.

IL RIFERIMENTO è ai risvolti del 1948 e a ciò che i palestinesi hanno ribattezzato al-Nakba (la catastrofe), quando 418 villaggi vennero distrutti – molti di essi furono rasi al suolo – e centinaia di migliaia di profughi si riversarono nelle aree limitrofe alla Palestina.

Una larga percentuale di essi, così come anche dei profughi palestinesi della guerra del 1967, trovò rifugio nel Libano meridionale: un flusso che ha alterato in maniera irreversibile (anche) gli equilibri socio-economici della popolazione locale, in larga maggioranza sciita.

Più nello specifico, a partire dagli anni Cinquanta, migliaia di famiglie sciite furono costrette a migrare verso l’area di Beirut, perdendo le loro case e i loro beni, sovente a beneficio dei miliziani palestinesi, impegnati a trasformare il sud del Libano in una sorta di avamposto dal quale far partire attacchi e/o contrattacchi verso Israele.

Nel corso del decennio successivo, circa la metà delle aree sciite presenti nel sud del paese erano prive di acqua corrente, elettricità e scuole che non fossero religiose: lo Stato libanese investiva nell’area meridionale meno dello 0,7% della spesa pubblica e l’analfabetismo tra gli sciiti si atte­stava intorno al 50%, a fronte di una media nazionale del 30%.

A metà degli anni Settanta venne fondato Harakat al-Mah­rūmīn, il Movimento dei Diseredati finalizzato a promuovere l’uguaglianza tra tutte le confessioni religiosi presenti nel Paese, a cominciare da quella sciita, la più povera e marginalizzata.

NATO COME partito tendenzialmente secolare e al medesimo tempo transreligioso, Harakat al- Mahrūmīn assunse con il tempo le sembianze di un movimento più marcatamente sciita. Fu proprio dalle ceneri di questo movimento che nel 1975 venne fondato a Beirut Harakat Amal (Movimento della Speranza) – al quale si unì anche Naim Qassem, neo segretario di Hezbollah dallo scorso 29 ottobre – destinata a diventare una delle due principali forze parlamentari sciite presenti nel Paese.

La prima azione militare israeliana, attuata per colpire i fidāʾiyyīn (“guerriglieri”, “martiri”) palestinesi presenti nel Sud del Libano e per fermare i loro attacchi terroristici e lanci di razzi Katyusha di fabbricazione sovietica, risale all’inizio del 1978, quando da un anno era salita al potere in Israele la destra guidata dal Primo ministro – ed ex membro del gruppo terroristico dell’Irgun – Menachem Begin.

Riannodare le fila di questo lungo percorso non mira certo a condonare i crimini di Hezbollah, quelli delle autorità israeliane o di altri attori coinvolti. Va invece inteso come un monito per ricordarci che se non si conoscono le realtà locali e la storia che le sottendono, è facile abbracciare narrazioni facili, ideologiche, che parlano alla pancia – e dunque agli istinti – delle persone.

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