Gli accordi di Oslo erano basati sulla malafede israeliana, sono stati attuati con ancor meno buona fede e trent’anni dopo ne vediamo tutti il risultato: la violenza aumenta, gli insediamenti si ampliano, gli attacchi dei coloni ai civili palestinesi diventano un’abitudine e il regime di apartheid in Cisgiordania si consolida di giorno in giorno.

La cosa forse ancora peggiore è che pochissimi israeliani e palestinesi credono che una soluzione, qualsiasi soluzione, al conflitto israelo-palestinese sia possibile. Senza questa convinzione, senza la speranza di un futuro migliore, l’azione politica diventa molto difficile. Leggendo il protocollo recentemente pubblicato della discussione nel governo israeliano prima dell’adozione del primo accordo di Oslo, è molto chiaro che Israele non aveva alcuna intenzione di concedere ai palestinesi l’indipendenza o uno Stato proprio.

L’«AUTONOMIA» promessa ai palestinesi non era altro che uno strumento per prolungare il controllo totale israeliano su tutta la terra tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, sollevando Israele dai suoi doveri di potenza occupante nel gestire la vita quotidiana dei palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Tuttavia, nonostante il fatto che uno Stato palestinese non facesse originariamente parte degli accordi, il processo è stato in seguito molto identificato con la soluzione dei due Stati. Dopo Oslo, l’idea di uno Stato palestinese indipendente è stata accettata come base per tutti i negoziati tra israeliani e palestinesi. Il fallimento di Oslo è quindi concepito anche come il fallimento del modello «classico» dei due Stati.

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Quindi se Oslo è fallito, se il modello dei due stati identificato con Oslo non sembra più rilevante, significa che non c’è soluzione? Significa che ci stiamo dirigendo verso un unico Stato, che nel «migliore» dei casi richiederà lo smantellamento dello Stato di Israele, e nel peggiore e più probabile caso, significherà apartheid e anche peggio?

Oslo è stato inteso dalla maggior parte dell’opinione pubblica ebraico-israeliana come uno strumento per separarsi dai palestinesi. Il ritiro unilaterale da Gaza, la costruzione del muro di separazione in Cisgiordania e l’effettiva creazione di enclavi palestinesi nelle aree A e B, circondate dall’esercito e dagli insediamenti israeliani, erano tutti elementi del concetto.

IL FALLIMENTO di Oslo è anche un fallimento dell’idea di separazione. Pur essendo due popoli con identità nazionali distinte, ebrei e palestinesi sono geograficamente legati. Entrambi i popoli considerano l’intera terra come la loro patria. Per gli ebrei, questa si estende tanto a Hebron in Cisgiordania quanto a Tel Aviv; per i palestinesi, a Jaffa quanto a Ramallah.

Ciò che è necessario non è la separazione, ma l’uguaglianza e la partnership; l’uguaglianza individuale e nazionale tra tutti i residenti di questa terra – attraverso la fine dell’occupazione, dell’espropriazione e dei privilegi diseguali – e una reale partnership tra questi due gruppi.

Il mio punto di vista, e quello dei miei partner palestinesi ed ebrei nel movimento «Una terra per tutti», è che esiste un modo per raggiungere questa uguaglianza e questa partnership: attraverso una confederazione israelo-palestinese, che implichi i seguenti principi: due stati indipendenti, Israele e Palestina, lungo i confini del 1967; una struttura federata con istituzioni condivise che governino i diritti umani, la sicurezza, l’economia e altre questioni di interesse reciproco; frontiere aperte e libertà di movimento per i cittadini di entrambi gli stati, che possono vivere ovunque vogliano; Gerusalemme città aperta, capitale di entrambi gli stati, sorvegliata da un governo municipale comune; restituzione di tutti i torti subiti in passato, senza crearne di nuovi.

QUANDO abbiamo iniziato, undici anni fa, questa idea sembrava una fantasia. Oggi sembra ancora più fantastica l’attuazione della soluzione dei due Stati, così come è stata inquadrata attraverso il processo di Oslo, con lo sradicamento di centinaia di migliaia di coloni, la spartizione di Gerusalemme e la rinuncia pratica dei palestinesi al diritto al ritorno nelle terre da cui sono stati esiliati 75 anni fa. La soluzione dello Stato unico, d’altra parte, sembra anche molto difficile perché ignora le aspirazioni nazionali di palestinesi e israeliani e i loro diritti all’autodeterminazione in uno Stato proprio.

Una confederazione non è una risposta perfetta. Ma tra una fallimentare soluzione a due stati, uno stato di apartheid in uscita e un troppo lontano stato democratico, sembra la migliore adottata per la situazione sul campo.

*Two States – One Homeland