«Saremo il partito più votato d’Europa!» aveva promesso Orban alle migliaia di fedeli e sostenitori venuti ad acclamarlo al termine della Marcia della Pace il primo giugno. E così è stato.

Fidesz si conferma con netto margine primo partito di Ungheria con il 44% dei voti. Orban porterà a Bruxelles undici deputati, più della metà dell’intera compagine ungherese. Saranno loro a far uscire, probabilmente, Fidesz dal limbo del gruppo misto in cui era finito dopo l’espulsione de facto dal Ppe del 2021 e a tentare di costruire quel grande gruppo della destra sovranista europea che si profila all’orizzonte dopo questa tornata elettorale europea. Per questa affermazione tutta nel nome della “pace”, in opposizione a sinistra e liberali, difensori a suo dire del partito della guerra finanziato da George Soros, Orbán ha dovuta chiamare alla grande mobilitazione i suoi elettori e piccoli e grandi quadri di partito soprattutto nell’Ungheria profonda, che ha portato ad un’affluenza record del 59.1%, molto superiore al 41.7% di cinque anni fa.

IL 44% DEI VOTI non può non definirsi una vittoria, specie se accompagnato, come dirà Orban nel suo discorso, dalla maggioranza ottenuta in tutti i 20 consigli regionali ungheresi. Eppure in casa Fidesz è suonato più di un campanello di allarme.

Per la prima volta in 14 anni di potere quasi assoluto Fidesz ha infatti subito dietro di sé un partito di opposizione forte, il Tisza Part, nato soli 3 mesi fa e arrivato a superare la quota, anche psicologica, del 30%, che suscita entusiasmo nella gente, guidato da un leader fino a ieri poco noto ai più, che di nome fa Péter Magyar e che Orbán si è cresciuto in seno. Magyar, avvocato 43enne, era all’interno del cerchio d’oro di Orbán prima di uscirne con clamore e puntare il dito violentemente contro la corruzione nel sistema di potere. Ha girato l’Ungheria in lungo e in largo col suo look fatto di Rayban a specchio e camicia e sneakers bianche.

Di sé dice di essere nemzeti – nazionale, è contro l’ingresso dell’Ucraina nella Ue, nicchia sulla questione dei diritti, salverebbe parecchie cose dei governi Orbán, introdurrebbe le pensioni minime. È stato in grado di erodere parte del bacino elettorale di Fidesz, ma anche di prendere voti da tutti quelli che vedono in lui finalmente il “Messia” capace di detronizzare l’autocrate. Nel parlamento europeo porterà sette deputati, tutti pescati dalla società civile a due mesi dal voto. Conosce bene l’Ue: è stato funzionario a Bruxelles, e lì tornerà in prima fila, c’è già una manifestazione di intenti per l’adesione al Ppe.

Stefano Bottoni
Oggi si è dimostrato che Orbán non è invincibile e che ci può essere gara. Collegio per collegio. Inizia ora una gara che porterà alle politiche 2026

AL CAMPO progressista, che vedeva alleati Coalizione Democratica dell’ex premier Ferenc Gyurcsány, i socialisti dell’Mszp e i Verdi, sono andati l’8.3% dei voti e due deputati. Entra nell’emiciclo di Bruxelles anche l’estrema destra di Mi Hazank – La nostra patria, in predicato di unirsi a Afd. Fuori dai giochi, invece, i liberali di Momentum, tra i più strenui accusatori nelle istituzioni europee della deriva antidemocratica ungherese.

La sinistra ungherese potrebbe gioire per la difesa di Budapest che si dimostra ancora una volta roccaforte di diritti e democrazia in un’Ungheria segnata dalla mano di Orban. Al momento di chiudere il giornale è ancora testa a testa tra il sindaco uscente, il verde Gergely Karácsony, e il centrista David Vitezy.

Si tratterebbe di una vittoria importante per il giovane sindaco, ottenuta senza un’affermazione forte di partito alle sue spalle ed uscito da un mandato in cui gli sono stati sistematicamente tagliati tutti i fondi dal governo centrale. Un’elezione che si è riempita di suspense quando a meno di quarantott’ore dal voto la candidata di Fidesz, Alexandra Szentkirályi, che arrancava nei sondaggi e sulla cui candidatura Orban aveva, stranamente, speso ben poche energie, si è ritirata dalla competizione indicando che avrebbe votato Vitezy.

«LE OPPOSIZIONI parlamentari storiche dovranno provare a collaborare col Tisza Part», afferma lo storico Stefano Bottoni, autore di Orbán. Un despota in Europa la cui versione ungherese uscita l’anno scorso è stata un caso editoriale. «E farlo collegio per collegio, iniziando a costruirea livello locale, dove Orbán ha la sua vera forza. Oggi si è dimostrato che Orbán non è invincibile e che ci può essere gara. Inizia ora una maratona che porterà alle politiche del 2026».