«La guerra non è un pericolo imminente per l’Europa, quindi non è il caso di spaventare i cittadini». Getta acqua sul fuoco dei più bellicisti l’Alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell, dopo giorni di chiamata alle armi da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e prima ancora del presidente francese Emmanuel Macron.

QUELLA DEL CAPO della diplomazia europea è solo una delle voci dentro e fuori dal coro dei capi di Stato e di governo che convergono sull’Europa Building della capitale continentale con un ricchissimo programma. Si dovranno stabilire gli indirizzi politici su temi chiave della politica estera europea: dalla difesa comune e all’Ucraina, da Gaza all’allargamento dell’Unione verso est (temi trattati ieri), fino alle politiche agricole, off topic ma aggiunte in agenda a seguito delle giornate di protesta del mondo rurale (in discussione oggi). Il vertice si spalma su due giorni e nella prima parte i leader si sono ripetutamente incontrati fin dopo la cena di lavoro, mentre le decisioni saranno scritte nero su bianco solo con il documento finale del Consiglio europeo, previsto per oggi.

Il summit si è aperto nel pomeriggio di ieri con un incontro tra i leader dei 27 e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che si è espresso su entrambi i fronti di guerra che a diverso livello interpellano l’Europa. «Condanniamo gli attacchi terroristici del 7 ottobre e le violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di Hamas, così come anche il fatto che stiamo assistendo a un numero di vittime civili a Gaza che non ha precedenti nel corso del mio incarico come segretario generale».

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Riferendosi invece all’offensiva di Mosca, Guterres ha richiamato l’importanza della pace in Ucraina che sia «pienamente in linea con i principi, il che significa nel rispetto della Carta Onu, del diritto internazionale e dell’integrità e sovranità di Kiev». Sul Medio Oriente gli fa eco Borrell, che nelle ultime settimane non ha risparmiato accenti sempre più critici nei confronti dell’azione militare del governo: «Quello che succede oggi a Gaza è il fallimento dell’umanità».

IN ATTESA che il contrappunto delle diplomazie faccia il suo corso, le vere notizie della prima giornata di Consiglio sembrano arrivare da un fuori programma. Era ancora in corso l’intervento in videoconferenza del premier ucraino Volodymyr Zelensky che il portavoce del premier ungherese Viktor Orbán ha reso note le proprie congratulazioni per la rielezione del presidente russo Putin. «L’Ungheria afferma di nuovo il suo impegno per la pace», scrive su X il fedelissimo Zoltan Kovacs. Uno schiaffo alla diplomazia Ue e alle altre capitali europee, soprattutto Berlino e Parigi, che hanno definito «illegittime» le elezioni del 17 marzo.

La bomba sganciata da Budapest – prontamente bacchettata dalla presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola – si accompagna all’apertura ungherese, apparentemente di segno opposto, sulla proposta di utilizzare per gli extraprofitti degli asset russi congelati in Europa per finanziare l’invio a Kiev di armi e munizioni. L’iniziativa, lanciata alla vigilia del summit da Borrell, e in discussione sul tavolo dei negoziati tra i leader, potrebbe fruttare 3 miliardi di euro l’anno che aumenterebbero la quota dei 5 miliardi di euro per il 2024 appena stanziati dall’Ue con il Fondo per l’assistenza all’Ucraina.

«L’UNGHERIA è pronta a negoziare», ha concesso parlando alla stampa Balasz Orbán – quasi omonimo ma non parente direttore politico del primo ministro ungherese – avvertendo però che la «linea rossa» è la destinazione delle risorse per aiuti militari in Ucraina «perché non vogliamo essere coinvolti nel conflitto». Il modello sarebbe quindi quello per cui Budapest ha chiesto e ottenuto di poter utilizzare la propria quota di finanziamento aggiuntivo (i 5 miliardi, appunto) in altre aree come i Balcani occidentali o il Ciad. «Ma poi dipende dai dettagli e da come vanno le cose», ha precisato il politico ungherese riferendosi all’esito del negoziato.

DOVE INVECE Budapest non lascia margini di trattative è sugli eurobond finalizzati al riarmo e alla difesa europea. «Abbiamo avuto pessime esperienze con i progetti di prestito congiunto come i fondi di ripresa per il Covid» spiega il leader di Fidesz, preoccupato anche per la sovranità del suo paese aggiunge: «Non vogliamo un fondo europeo per la difesa né un prestito europeo per la difesa né un superstato europeo». Va ricordato che anche Germania e frugali si oppongono, seppure per altre ragioni.

Insomma, i nodi del finanziamento alle armi sono tutt’altro che sciolti. Sull’invio di munizioni a Kiev è intervenuto Zelensky, che nel videocollegamento con i leader ringrazia l’Ue, ma rimarca: «Purtroppo, l’uso dell’artiglieria in prima linea da parte dei nostri soldati è un fatto umiliante per l’Europa. Intendo: potete dare di più