Gli attacchi di questi giorni in Transnistria, la regione filo-russa autoproclamatosi autonoma dalla Moldavia, aprono una nuova ferita nel conflitto ucraino. Se ancora non c’è una firma leggibile degli attacchi terroristici (Kiev e Mosca continuano a rimpallarsi le accuse) secondo la presidente Maia Sandu l’obiettivo è quello di «destabilizzare la situazione» e coinvolgere nel conflitto la Transnistria e, di conseguenza, la Moldavia.

La paura è che proprio in questa piccola striscia di terra, dove sono presenti almeno 1500 militari russi, possa aprirsi un nuovo fronte. Sono molti gli analisti a ritenere che l’obiettivo di Putin sarebbe quello di creare un corridoio dal Donbass fino alla regione separatista, portando a termine il progetto di una ‘Nuova Russia’ con sbocco sul Mar Nero. L’enclave sarebbe quindi una postazione strategica per un’operazione a tenaglia su Odessa.

UN FRONTE DI GUERRA che, però, potrebbe avere un effetto domino: un’azione russa nella regione, non riconosciuta nemmeno dalla stessa Russia, significherebbe di fatto una dichiarazione di guerra alla Moldavia su cui ha una forte influenza la Romania, paese Nato fortemente ostile alla Federazione e che sta già ammassando truppe al confine.

La situazione diventerebbe quindi esplosiva, mettendo la Moldavia in estrema difficoltà. Il Paese si è da sempre definito neutrale, rendendo ufficiale la propria posizione anche in Costituzione. Una neutralità che si associa al no convinto alla Nato e che mette d’accordo governo e opposizioni. «Siamo – ci ha detto il Ministro degli Esteri Nicu Popescu – un paese neutrale. Non prendiamo parte a conflitti militari, ma vogliamo entrare in Europa.

L’Unione Europea deve accettare che ci sono alcuni paesi neutrali, come Cipro, Irlanda, Svezia, Finlandia e Austria. Non entreremo nella Nato ma allo stesso tempo non possiamo essere neutrali riguardo al diritto internazionale, ai diritti umani, e situazione umanitaria dei rifugiati. Condanniamo chiaramente l’aggressione russa all’Ucraina». La maggioranza di governo rivendica quindi la propria neutralità, ma anche la propria vicinanza, culturale prima ancora che politica, all’Europa.

«ABBIAMO RELAZIONI economiche con la Russia ma la nostra storia e il nostro destino è in Europa. Parliamo una lingua latina, la nostra cultura è europea», continua il Ministro Popescu a cui fa eco Doina Ghermann, presidente della Commissione parlamentare per l’integrazione Europea: «L’entrata nell’Europa è una scelta irreversibile che il paese ha fatto votando un partito chiaramente pro-europeo e una presidente pro-europea. Ci sono anche famiglie di origine russa che hanno compreso che questa è una scelta di giustizia e di sviluppo».

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ANCHE UNA PARTE delle opposizioni si muove in questa cornice. Così l’ex presidente Ion Chicu: «La Moldavia è un paese neutrale e dobbiamo rispettare la Costituzione. Non entreremo in nessun blocco militare, non faremo la tragica fine dell’Ucraina». Sulle relazioni con la Russia invece è scontro con la maggioranza: «Credo che il governo attuale sia sotto forti pressioni interne ed esterne per tagliare i contatti con la Russia. Noi abbiamo da sempre buoni rapporti con la Federazione: molti dei nostri cittadini sono russi e non accetterebbero la chiusura delle relazioni».

Più complessa la posizione dei socialisti e dei comunisti, che non hanno voluto rilasciare dichiarazioni se non attraverso i loro canali social.

PUR RIVENDICANDO la neutralità del paese, entrambi i partiti chiedono con forza il mantenimento dei rapporti con Mosca, e denunciano un’azione di destabilizzazione del paese sospinta dall’esterno. Forti critiche, ad esempio, ha suscitato la scelta del Governo di vietare i simboli della Festa della Vittoria sul nazifascismo, ossia la stella e il nastro di San Giorgio.

Per il Governo quei simboli «hanno cambiato il loro significato» diventando un modo per giustificare l’aggressione da parte della Russia, ma i socialisti hanno espresso forti preoccupazioni, specificando che si tratterebbe di un atto di provocazione, volto a far schierare il paese nel conflitto.

Anche la recente scelta di firmare un accordo di Cooperazione Individuale con la Nato per il 2022 e 2023 ha provocato nuove tensioni tra maggioranza e opposizione. Il piano prevede lo sviluppo di «consultazioni politiche a vari livelli, tra Chisinau e i Paesi membri della Nato, su questioni di politica estera e di sicurezza» e, secondo i socialisti, rende il paese di fatto non più neutrale.

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La Moldavia fornisce quindi un punto di vista privilegiato sulle contraddizioni del mondo post-sovietico: un paese sospeso tra modelli europeisti e nostalgie post-sovietiche, con un dialogo rimasto aperto tra filorussi e filo-occidentali. Solo due anni fa, nel 2020, il presidente della Repubblica era un socialista fortemente filorusso, Igor Dodo, che nelle presidenziali dello stesso anno ottenne in coalizione con i comunisti (al primo turno) il 32% dei consensi, contro il 36% del Partito di Azione e Solidarietà di Maia Sandu. È con lei che il paese ha virato verso l’Europa.

Se la neutralità è rivendicata da tutte le parti, il posizionamento geopolitico del paese è ancora oggetto di contesa. Il campo di battaglia diventerebbe così proprio la Transnistria, anche se non è chiaro chi stia muovendo i fili e quali siano gli obiettivi impliciti, né gli scenari futuri.

*Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo