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Ora Fed e Sec, poi Wto: i “regulators” dell’economia sono teste da tagliare

Ora Fed e Sec, poi Wto: i “regulators” dell’economia sono teste da tagliareIl presidente della Federal Reserve Jerome Powell – Ap/Ben Curtis

Economia Powell (Federal reserve): «Non me ne vado». Non basta essere neoliberisti, bisogna sparire

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 9 novembre 2024

La notizia di un altro taglio dei tassi dello 0,25% da parte della Fed non ha suscitato particolare interesse presso i media americani o le borse, la cui euforia in questi giorni è da ascrivere prevalentemente al ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Più interessante è stata invece la risposta che Jerome Powell, il capo della Fed, ha dato nella conferenza stampa convocata per comunicare la decisione di politica monetaria del suo bureau. «Sarebbe disponibile a fare un passo indietro in caso di richiesta da parte del nuovo presidente eletto degli Usa?», gli ha chiesto una giornalista in sala. E lui: «No». Seccamente.

Perché interessante? Ma perché rimanda al tema, molto più dirimente, di un presunto desiderio di «vendetta» di Donald Trump nei confronti di alcune istituzioni del paese e dei loro vertici, ma soprattutto alla sua conclamata idiosincrasia per l’indipendenza delle stesse. Vale per la Fed, ma anche per altre istituzioni legate al mondo finanziario, come la Securities and Exchange Commission (Sec), l’ente federale preposto alla vigilanza delle borse valori. Già in campagna elettorale si era palesato il rischio di uno scontro con il suo presidente Gary Gensler a proposito di criptovalute.

A Trump non piace la linea dell’organismo, volta a mettere dei paletti nella giungla delle monete virtuali. Infatti, tra gli applausi dei miners, aveva promesso che in caso di vittoria avrebbe fatto degli Stati Uniti la «capitale mondiale delle criptovalute». Cosa succederà, è presto per dirlo. Di certo c’è che i player dell’universo «cripto» si aspettano adesso la sostituzione di Gensler alla guida della Sec. Ciò, mentre proprio le monete virtuali finite nel mirino della vigilanza, o sottoposte ad indagine, in questi giorni hanno fatto registrare le migliori performance. I capi di Fed e Sec sono nominati dal presidente (Powell lo nominò proprio Trump), ma durano un intero mandato e non sono revocabili. Però si può sempre rendergli la vita impossibile.

Tutto questo, a qualcuno piace interpretarlo come una rivincita della politica nei confronti di organismi che risponderebbero soltanto agli interessi dei mercati, delle banche, della finanza. Insomma, Trump contro le élite e contro i santuari del capitalismo finanziario. Una narrazione che pure ha avuto il suo peso nella vittoria del magnate dei grattacieli. Invero, le cose stanno esattamente all’opposto. L’interventismo di Trump (anche quello per influenzare le scelte della Fed), non è finalizzato a riportare l’economia sotto il controllo pubblico, per riequilibrare i rapporti di potere e di reddito nella società, bensì a sciogliere ulteriormente le briglie al capitalismo, secondo uno schema tipicamente neoliberista. Lo Stato al servizio degli interessi del capitale: un lavoro che può essere ulteriormente agevolato dal controllo non solo del Congresso, ma anche della Corte Suprema, da parte dei Repubblicani.

Taglio delle tasse ai ricchi e alle corporation (la teoria dello «sgocciolamento»), deregolamentazione dei mercati finanziari, riduzione della protezione sociale per le classi popolari, con la salute appaltata agli interessi dei giganti assicurativi. Non ha caso, il giorno delle elezioni, a Wall Street è partita la festa. Con i primi 5 miliardari del mondo che hanno accresciuto, in poche ore, le proprie fortune di 18 miliardi di dollari. Bernard Arnault, Mark Zuckerberg, Gautam Adani, Jeff Bezos, Jensen Huang. Ed Elon Musk, proprio lui, il guru della campagna elettorale di Trump, che in tre giorni ha visto aumentare la propria ricchezza di 30 miliardi di dollari (le azioni di Tesla +30%).

Si potrebbe obiettare che Trump, con la sua politica protezionistica, potrebbe far saltare in aria la vecchia globalizzazione, che certo non è stata vantaggiosa per i lavoratori. Già si prefigurano scontri epici in seno all’organizzazione mondiale del commercio (Wto), per restare all’insofferenza di The Donald per le regole. Purtroppo, il «faremo di nuovo grande l’America» non sottintende una visione solidaristica del commercio mondiale, ma una sfida ai paesi Brics. Dazi usati come arma di ricatto per scoraggiare l’abbandono del dollaro nelle transazioni internazionali. È la difesa del fortino dei super-ricchi, non il suo abbattimento.

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