Con la vittoria di Trump «situazione terribile, ci sarà molta resistenza»
Intervista a Arash Azizi Il trionfo di Trump, le colpe di Harris, il fascismo che ci aspetta.«I democratici non controllano la Camera, né il Senato o la Corte Suprema, è vero, ma saranno i governatori e i sindaci - non solo democratici - a contrastare le tendenze autoritarie». Ombre sul ruolo futuro di Musk e Thiel: «Avranno accesso al potere e questo preoccupa molto». Vacillano alcuni capisaldi dello Stato ma «questa è l'America: a 70 milioni di americani va bene così»
Intervista a Arash Azizi Il trionfo di Trump, le colpe di Harris, il fascismo che ci aspetta.«I democratici non controllano la Camera, né il Senato o la Corte Suprema, è vero, ma saranno i governatori e i sindaci - non solo democratici - a contrastare le tendenze autoritarie». Ombre sul ruolo futuro di Musk e Thiel: «Avranno accesso al potere e questo preoccupa molto». Vacillano alcuni capisaldi dello Stato ma «questa è l'America: a 70 milioni di americani va bene così»
«Trump ha fatto tutto quello che si poteva immaginare. Molte persone hanno pensato che ciò non sarebbe piaciuto agli americani. Invece, non è stato così». Così Arash Azizi commenta da Boston il risultato eclatante delle ultime elezioni americane. Azizi è uno storico e osservatore politico per The Atlantic, Newsweek e Washington Post, oltre che autore di The Shadow Commander. Soleimani, the US, and Iran’s Global Ambitions (2020) e L’Iran in fiamme. Donne, Vita e libertà, edito in Italia da Solferino.
I risultati di queste elezioni sono stati una grande sorpresa per tutti. Qual è la sua lettura di ciò che è successo?
È un esito schiacciante. Non si tratta di perdere in uno Stato, o in una sola fascia demografica: Harris ha fatto peggio di Biden in ogni singola contea degli Stati Uniti. Non è un caso, il malcontento era diffuso in particolare per l’inflazione, che ha davvero danneggiato la gente. I prezzi si sono alzati del 20% in più rispetto a quattro anni fa, e ciò ha riguardato tutti. Anche se i dati economici mostrano una storia diversa – per esempio, la disoccupazione è ai minimi storici -, l’elettorato non ci ha fatto molto caso. D’altra parte, Harris non è stata in grado di fare ciò che Biden ha fatto quattro anni fa, ovvero di trasformare questa campagna, come ho detto all’epoca, in una campagna Scranton contro Mar-A-Lago – nemmeno a Scranton, in Pennsylvania, dove Biden è nato. Biden si era presentato come una sorta di buon lavoratore moderato, fatto su misura per l’uomo medio. Harris, al contrario, è stata vista come l’archetipo della liberal californiana, e non è stata in grado di cambiare questa immagine.
Si può dunque attribuire a lei la maggior parte della responsabilità di questa disfatta?
Il candidato è responsabile della sconfitta e ha il merito della vittoria. Vedo politici che guardando a questi risultati dicono: “L’America è allo sbando”. Se credete che il Paese non vi meriti, allora non dovreste essere nella politica democratica. Per lo stesso motivo, Kamala Harris è pienamente responsabile di quello che è successo. Sicuramente, si può sostenere che Harris non abbia potuto fare granché perché c’era un’opposizione troppo forte e poco tempo. Alcuni elettori l’hanno vista probabilmente come un ripiego, e c’erano persone che, secondo i sondaggi, hanno scoperto solo al seggio che Biden non era il candidato. Inoltre, Harris ha avuto in passato un gradimento pessimo: negli anni di presidenza Biden non era stata preparata per il successo elettorale, se così si può dire. Le sono state affidate faccende terribili come la sicurezza dei confini, poi c’è stata la tremenda politica di Biden con Israele. D’altra parte, non ha fatto abbastanza per distinguersi da Biden. Vincere le elezioni in questo Paese non è facile, soprattutto di fronte a Trump, un talento politico unico nel suo genere.
Queste elezioni si possono considerare un referendum perso contro Trump?
Certamente. I democratici e i cosiddetti repubblicani moderati non hanno fatto altro che tentare di dimostrare che Trump non è un fenomeno da poco. Allo stesso tempo, Trump non ha dato una versione blanda di sé stesso. Non ha scelto come suo vice un moderato che rappresentasse il repubblicano medio, ma uno come J.D. Vance, una specie di sondaggista di fortuna di Internet, l’equivalente politico di Tucker Carlson. Contrariamente a quanto ci aspettavamo, questo è piaciuto agli americani. Questa è l’America: a 70 milioni di americani va bene così. La vittoria di Trump mette in discussione alcuni capisaldi dello Stato, per esempio le forze armate. L’idea una volta era che chi non si fosse occupato delle forze armate non avrebbe avuto alcuna possibilità elettorale, condannandosi al suicidio politico. Trump, invece, che lo ha attaccato ripetutamente, ha vinto le elezioni.
Donald Trump ora ha un’enorme quantità di potere davanti a sé. Quali sono i rischi reali di questa situazione?
Penso che sia una situazione terribile per il paese e che ci sia molto rischio. Ma allo stesso tempo, ci sarà molta resistenza e ci saranno moltissimi controlli e contrappesi: i democratici non controllano la Camera, né il Senato o la Corte Suprema, questo è vero, ma saranno i governatori e i sindaci – non solo democratici – a contrastare le tendenze autoritarie. E neppure credo, d’altra parte, che Trump abbia un progetto autoritario programmatico: ha un istinto autoritario, ma non un programma ideologico di tipo fascista pronto da realizzare. Lascerà che siano altri intorno a lui a portarlo avanti. Tutto ciò è indice di un momento molto preoccupante: una situazione simile a quella in cui si sono trovati Israele e la Polonia.
Il ruolo di magnati della tecnologia come Elon Musk e Peter Thiel in queste elezioni è stato significativo. Quale ruolo pensa possano avere nel prossimo futuro?
Thiel e Musk avranno accesso al potere statale e questo è molto preoccupante. Non sono sicuro di cosa vogliano fare con questo potere, ma non credo che abbiano un programma coerente. Per quanto potenti, questi individui hanno uno spazio d’azione limitato, forse perché viviamo in un mondo dove ci sono così tanti poteri concomitanti. Trump stesso non è una persona che si fida facilmente di tutti: dovessero farsi prendere da programmi ambiziosi, potrebbero scoprire che Trump sarebbe il primo a non esserne contento. Un pericolo per molti di noi è invece Robert Kennedy, che un programma preciso lo ha. Ha messo le mani sulla FDA: se fosse in grado di attuare una sorta di deregulation sanitaria, la cosa avrebbe un effetto devastante. Sarebbe, credo, simile a ciò che abbiamo visto accadere in Brasile, ma su scala molto più ampia.
Non ci aspettano solo anni di presidenza Trump, ma una possibile futura candidatura di Vance. Potrebbe essere l’inizio di una nuova era politica nella storia americana?
Nella storia americana si sono avvicendati sei diversi sistemi partitici. L’America è un Paese molto insolito: non ci sono i soliti partiti politici, ci sono le linee elettorali e le persone che si uniscono e formano diversi partiti che cambiano spesso. Ora si può verificare un riallineamento ideologico della politica americana, dove J.D. Vance e altri formerebbero un grande partito del «nativismo americano», se così si può dire, a cui potrebbe seguire una scissione centrista e una coalizione di sinistra. J.D. Vance rappresenta una nuova forma ideologica sciovinista, interessante anche per la sua metodologia – sono persone spesso online, si affidano a certi media, sono attenti alla globalità, più della sinistra. Seguono Orbán in Ungheria, e Putin non gli è alieno, anzi, apprezzano il suo modello di nazionalismo bianco, che si può riadattare per scopi americani. Ci sono novità anche nel voto: il 20% dei neri ha votato per Trump, come la maggioranza dei latinos. Questa nuova eterogeneità sarà una caratteristica duratura della politica americana. Questo non è il Partito Repubblicano di vostro nonno, il partito è fondamentalmente cambiato, e non si tornerà indietro.
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