AGGIORNAMENTO 20/09/2022, H 9

Alla Humanity 1 è stato assegnato nella notte il porto. Si tratta di Taranto. L’arrivo è previsto per mercoledì 21 settembre alle 17.30. «Quando ci è stato indicato era distante 42 ore di navigazione», dicono dalla nave.

Sulla Humanity 1 le scorte di acqua potabile e cibo stanno per finire. «Abbiamo ridotto l’uso di acqua. Non ci si può più fare la doccia. La situazione sanitaria si sta complicando. Ad alcuni membri dell’equipaggio è venuta la febbre», fa sapere Petra Krischok, portavoce dell’Ong Sos Humanity. 18 le richieste di Place of safety (luogo sicuro di sbarco). 398 i naufraghi ancora a bordo. 14 giorni fa il primo soccorso, 6 l’ultimo.

Rotta e posizione della Humanity 1 alle 21 di ieri

Domenica sulla nave umanitaria si sono vissute ore convulse. Due neonati di un mese e mezzo e uno di quattro sono stati evacuati d’urgenza per ragioni mediche. Insieme a 13 familiari. «Le donne erano esauste e non riuscivano più ad allattarli», afferma l’Ong. Un neonato di 11 mesi e 55 minori sono ancora sulla nave. Ieri il capitano ha inviato una segnalazione al tribunale dei minori di Catania chiedendo di agire urgentemente per tutelarli.

Durante le evacuazioni mediche un uomo si è lanciato in mare «per la disperazione». I soccorritori lo hanno riportato a bordo. Una scena da periodo salviniano dei porti chiusi che però non è isolata: di recente era già successo a fine maggio sulla Ocean Viking e a fine aprile sulla Geo Barents. Le attese in mare, diventate una prassi durante i tre governi di questa legislatura, creano situazioni di pericolo e complicano la gestione dell’ultima fase dei soccorsi: l’arrivo a terra.

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Venerdì scorso il capitano della Sea-Watch 3, con a bordo 428 naufraghi di cui alcuni da nove giorni, è stato costretto a dichiarare lo stato di emergenza. Sui ponti la tensione era cresciuta troppo. «La tutela delle persone non è più garantita», ha twittato l’Ong, avvisando che se non fosse stato assegnato rapidamente un porto l’equipaggio ne avrebbe raggiunto uno «senza esplicita indicazione». Come fece Carola Rackete. Dopo l’ultimatum, però, l’indicazione è arrivata in poche ore: Reggio Calabria. Inizialmente era stata avanzata la proposta, irricevibile in quelle condizioni, di Taranto.

L’approdo pugliese è la novità estiva: da luglio a oggi il Viminale lo ha indicato otto volte su 12 (dal conto è escluso il caso appena menzionato). Da agosto si registra anche un ulteriore aumento dei tempi di attesa: non meno di 8 giorni, fino a 11 nelle due missioni della Sea-Eye 4. «Se non viene assegnato un porto rapidamente e se dopo molti giorni in mare ne viene dato uno lontano la sofferenza delle persone soccorse si moltiplica. Per arrivare a Taranto ci vuole un giorno e mezzo di navigazione, a volte due. All’andata e al ritorno. Così si ritarda anche il nostro ritorno in acque internazionali, dove facciamo quello che Italia, Malta e altri paesi membri non vogliono fare: salvare vite», afferma Juan Matías Gil, capomissione di Medici senza frontiere.

Sulla stessa linea d’onda anche Sea-Watch. «Abbiamo sempre richiesto il porto sicuro più vicino per tutelare salute e sicurezza delle persone salvate. Ci rendiamo conto che questo non sia sempre possibile ma assegnarne uno troppo lontano non può diventare una regola. Qualsiasi governo deve attenersi alle leggi e al diritto internazionale», afferma il portavoce Alberto Mallardo.

Lunghe attese e porti lontani fanno crescere esponenzialmente anche i costi delle missioni. Soprattutto con gli attuali rincari del carburante. Sea-Eye ha fatto sapere che non sa se e quando tornerà in mare: la situazione economico-politica ha ridotto le donazioni e fatto schizzare le spese.