Il discorso è stato imbarazzante. Nella conferenza stampa di presentazione dei Mondiali (oggi il via, cerimonia di apertura alle 15,30) il numero uno della Fifa Gianni Infantino è parso paracadutato da Marte. Eppure ci sono stati alcuni punti su cui il dibattito può essere aperto, senza addebitare colpe solo alla Fifa o agli organizzatori della Coppa del Mondo.

INFANTINO si è detto “migrante, omosessuale, africano”, un po’ come Jfk che si sentiva berlinese. Ma ha scherzato con il fuoco: mentre lui vive a Doha da mesi, gli omosessuali sono costretti a tenersi alla larga dai Mondiali. In Qatar c’è il carcere, fino a tre anni, se un gay è pizzicato in “flagranza di reato”. Nei giorni scorsi il brand ambassador dei Mondiali, Khalid Salman, ha spiegato a una tv tedesca che l’omosessualità “è una malattia mentale ed è contro la legge”. Un rapporto di Human Rights Watch di due mesi fa ha documentato casi di gay arrestati e malmenati durante la detenzione.

Infantino è stato fuori luogo anche sul paragone tra le vittime di soprusi in Qatar e la sua esperienza personale di bambino con capelli rossi e lentiggini che veniva preso in giro dai coetanei. Come sul Qatar che diventerà poco a poco un modello di integrazione, come avvenuto in Svizzera. Cose ritenute offensive da Amnesty International e da Fair Square, le ong che hanno tenuto accesa la luce sulla soppressione dei diritti umani e sui decessi dei migranti sui cantieri in Qatar.

Nel suo discorso c’è stata tanta politica. Il numero uno della Fifa si esercita da anni, con gli interventi all’Onu, al Consiglio d’Europa. Fa politica perché la Fifa è un carrozzone che da questi Mondiali conta di produrre oltre sei miliardi di dollari di introiti, che conta su 211 paesi affiliati e che cerca ancora nuovi mercati, anche in paesi con un rapporto complicato con la democrazia. Non che sia un crimine: anche la Nba per alzare il tetto dei profitti si è estesa in Cina, e in Qatar o in Bahrain è arrivata da tempo la Formula 1.

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SOPRATTUTTO, Infantino si sta giocando la rielezione (si vota nel 2023). Il presidente della Fifa era in campagna elettorale anche due settimane fa, inviando una lettera alle 32 federazioni presenti in Qatar con l’invito a occuparsi solo di calcio. Niente polemiche o atti dimostrativi sui diritti umani, sulla comunità omosessuale. Censura preventiva che non ha fatto proseliti: il capitano della nazionale tedesca, Manuel Neuer, indosserà la fascia di capitano con i colori dell’arcobaleno e la scritta One Love, in onore della comunità Lgbt. Sarà imitato dai capitani di tutte le nazionali europee, con il supporto delle federazioni, che si sono dette pronte a pagare le eventuali multe della Fifa. Gli Stati Uniti hanno fatto ridisegnare il logo sulla maglietta, all’interno ci sono i colori arcobaleno. Appena in Qatar, gli americani hanno giocato una partitella con una selezione di migranti-lavoratori, imitati dalla nazionale inglese.

EPPURE, tra le stravaganze accumulate ieri da Infantino in una conferenza stampa che ha stupito davvero tutti, spunta qualche passaggio condivisibile. Sugli europei che dovrebbero “scusarsi per i prossimi 3000 anni” prima di poter dare lezioni, visti i 3000 anni precedenti: l’atteggiamento occidentale sui diritti umani è intransigente a proposito di paesi africani o asiatici e assai più morbido su realtà del Vecchio Continente. E sui mancati passi in avanti del Qatar sui diritti umani, così come degli altri ricchi paesi del Golfo Persico, nessuna leadership politica europea ha mai alzato la voce. Eppure l’assegnazione dei Mondiali al piccolo e ricco Qatar risale al 2010, per volontà del predecessore di Infantino, Joseph Blatter – che oggi la disconosce. Solo le ong, le associazioni dei diritti umani e qualche giornale(come il britannico The Guardian) hanno fatto da sentinella.

E NON HA mosso un dito il sindacato dei calciatori, il potente FifPro, che lo scorso anno ha spedito una delegazione in Qatar per constatare che sarebbero stati “necessari alcuni progressi” sulla tutela dei lavoratori migranti (il 95% della forza lavoro in Qatar arriva dall’estero, specie da India e Pakistan) e della comunità Lgbt. Non una parola di dissenso dalle stelle dei Mondiali, da Leo Messi che anzi è testimonial per il turismo della vicina Arabia Saudita a Cristiano Ronaldo che annuncia l’inizio dei Mondiali “più belli di sempre”, facendo il verso proprio a Infantino. E qui il presidente della Fifa ha ragione, è ipocrita la tardiva pioggia di critiche verso i Mondiali in Qatar.

CI SONO STATI anni per invitare il Qatar almeno ad ammorbidire la legislazione anti omosessuali, a rendere più umani gli infernali turni sulle impalcature per i migranti. Non c’è stata adeguata sorveglianza sulla cessazione della kafala (bandita nel 2020 grazie all’Organizzazione mondiale del lavoro), il sistema creato nel 2009 che impedisce ai lavoratori stranieri di lasciare il Qatar senza il permesso del datore di lavoro.

Ne sono morti quasi settemila, e la stima è per difetto. Le loro famiglie nella maggior parte dei casi non hanno saputo la causa del decesso del familiare. Criticare ora è pura ipocrisia.