Guram Kashia, 37 anni il prossimo 4 luglio, è il capitano della Georgia, nonché detentore del primato di presenze con i colori della nazionale. Kashia è un difensore centrale classico che segue la squadra in attacco nei calci da fermo. Ha segnato tre goal con la sua nazionale. Oggi gioca nello Slovan Bratislava. Nel 2017 era invece il capitano della squadra del Vitesse che allora militava nella prima divisione olandese.

L’Olanda è il paese che agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso inventò il calcio totale che stravolse le strategie tradizionali che vedevano i calciatori ingessati nei loro ruoli (il difensore che non si spostava mai dalla sua metà campo, gli attaccanti che non tornavano mai a difendere, i terzini che non fluidificavano sulle fasce) e la cui nazionale, nel glorioso campionato mondiale del 1974, aveva rotto il tabù del sesso, visto che i calciatori potevano soggiornare in ritiro insieme alle loro fidanzate e alle loro mogli.

A metà ottobre del 2017 Guram Kashia, al posto di mettersi al braccio la classica fascia del capitano, ne indossò una con i colori dell’arcobaleno. Era una campagna della federazione olandese per promuovere i diritti Lgbtq+ nel football, luogo dove machismo e sessismo non di rado superano la soglia della ragionevolezza.

L’estrema destra del suo paese natio prese molto male il gesto inclusivo e anti-discriminatorio di Guram Kashia, al punto di minacciarlo, chiedere la sua esclusione dalla nazionale e organizzare manifestazioni contro il traditore della purezza georgiana maschile, accusato di essere un promotore della propaganda gay. Argomenti, quelli della lobby gay, che si sentono e leggono qua e là, anche dalle nostre parti, ivi compresi nei bestseller autoprodotti da generali promossi ad europarlamentari.

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Guram Kashia non si è mai dichiarato pentito e ha ribadito la sua vicinanza alle campagne anti-omofobiche. Molti dei suoi compagni di squadra e la Federazione calcistica georgiana intervennero allora in sua difesa. Nel 2018 l’Uefa gli assegna il premio #EqualGame, e lui, nel ringraziare, ribadisce di credere «nell’uguaglianza, indipendentemente da chi ami, chi credi o chi sei».

Oggi Kashia è ancora il capitano della sua squadra, ma lui come molti giovani del suo Paese, sta vivendo l’incubo del’ Sogno georgiano’, il partito al governo che sta accelerando sulla strada della compressione di ogni forma di democrazia e di libertà. Così a metà maggio scorso il parlamento ha approvato una legge diretta ad ammazzare ogni forma di protesta o dissenso: la cosiddetta legge sugli agenti stranieri che impedisce alle Ong, anche quelle sui diritti umani e sui diritti Lgbtq+, di finanziarsi con fondi provenienti dall’estero. Il modello è quello illiberale orbaniano.

Ma il ‘Sogno georgiano’ non si ferma qua e ha portato in parlamento anche una legge contro la propaganda gay, molto simile a quella russa: viene sancito il divieto di organizzare incontri pubblici «divulgativi su relazioni familiari o intime tra persone dello stesso sesso».

L’obiettivo della proposta è quello di proteggere i valori della famiglia da quelli definiti, in modo dispregiativo, pseudo-liberali: obiettivi che puzzano di clerico-fascismo. Qualora la legge dovesse essere approvata, la vita per la comunità Lgbtq+ georgiana tornerebbe nella clandestinità. Altro che Pride. E Kashia, se mai dovesse reindossare una fascia di capitano con i colori arcobaleno, rischierebbe di finire in prigione.

Come è accaduto lo scorso dicembre in Russia per il rapper Vacio, condannato prima alla pena del carcere e poi ad andare a combattere al fronte ucraino, per avere partecipato a una festa gay a Mosca dove si era presentato nudo, non a caso era un naked party, con un calzino, come nella migliore tradizione rock, a copertura delle parti intime. Il delatore di turno ha denunciato Vacio che, nonostante l’abiura, è stato comunque arrestato. La libertà sessuale, come i movimenti femministi hanno storicamente dimostrato anche nella stessa Russia (si vedano le Pussy Riot), è la via attraverso cui possono essere messi in discussione i valori tradizionali, a cui la dirigenza politica reazionaria russa al potere, e oggi anche quella georgiana, è tanto legata.