Johan Cruyff ha fatto la rivoluzione due volte, con i piedi e con la testa. Come tutti i rivoluzionari non ha vinto un granché, anzi ha perso molto. Ha perso la possibilità di conquistare la Coppa del Mondo, una volta nel 1974 contro la Germania, quando ancora c’erano i tedeschi dell’Ovest e quelli dell’Est, un’altra quattro anni dopo giocando sui campi dell’Argentina della dittatura, perdendo sempre in finale contro le vittime di quei generali. Cruyff prima di andarsene ha scritto una meravigliosa autobiografia, La mia rivoluzione e quella frase sul suo essere due volte rivoluzionario sta qui, nell’ultima edizione tradotta nel 2018 in italiano, con la prefazione di Federico Buffa,scrittore e narratore, storie di sport e di vita. La definizione è sua.

CRUYFF NON C’È PIÙ, anche i rivoluzionari scarseggiano, pure e soprattutto nel bel mondo del gioco del calcio. Non significa che le buone idee siano finite, ma piuttosto che prevale la voglia di metterle a tacere. Si tratta di un esplicito desiderio di normalizzazione, senza poi capire che significherebbe essere «normali». Un malsano sentimento generale, inteso anche e non solo come certi deliri di tale Vannacci, neo eurodeputato della Lega da mezzo milione di voti e appunto già generale dell’esercito italiano.

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Questa voglia di metter tutto e tutti a tacere va in scena anche a Euro 2024, i campionati europei di calcio che si stanno giocando in Germania. Sono un’immagine piuttosto nitida di un continente dilaniato, vecchio, malato, rassegnato, sordo e con un forte desiderio di annullare il libero dissenso. Lo vedi dalle reazioni sugli spalti, dove esplode la gioia repressa di turchi e georgiani, lo leggi sui campi, dove i giocatori dell’Ucraina cercano una pausa dalla ferocia di una guerra d’invasione che li ha travolti e intanto riescono quasi sempre a rimontare le piccole difficoltà dello sport, magari battendo la Slovacchia, come hanno appena fatto.

Il calcio è passione a diffusione globale, far credere che non conti nulla è un errore, ma anche un tentativo in corso di non raccontare quello che succede davvero. L’Italia del pallone non piace a nessuno? Falso, perché già la prima partita contro l’Albania ha raccolto davanti alla tv 10 milioni 10 di italiani, solo per quanto riguarda la Rai e 12 milioni e mezzo per l’ultima sfida, quella persa contro la Spagna, ai quali vanno aggiunti i telespettatori che hanno seguito tutto sui canali pay-tv di Sky, quasi un altro milione e mezzo a botta.

IL PUNTO È SEMMAI UN ALTRO: chi governa l’Italia in questo momento e cavalca l’onda lunga di un’Europa che vince a destra, ha deciso di sottovalutare il tutto. Almeno fino a quando non ci saranno indizi sufficienti che la spedizione si trasformi in un successo. Ora non ancora, perché gli azzurri di Luciano Spalletti tentennano e dunque sembra meglio non farsi vedere in Germania, neppure quando la Spagna schiera in tribuna il suo re.

Così Giorgia Meloni glissa, il suo ministeriale cognato Francesco Lollobrigida appare, ma quasi si nasconde. Zitti e mosca, funziona così anche in campo, dove la squadra degli arbitri internazionali si adegua all’andazzo e applica le regole giunte dall’alto, qui inteso come vertici Uefa, governo del calcio continentale. Che ha lanciato un preciso dispaccio: tolleranza zero al dissenso dei giocatori, nessuna protesta è ammessa, figuriamoci le contestazioni e ne sanno qualcosa il portiere azzurro Donnarumma e il difensore spagnolo Rodri, che avevano avuto l’ardire di chiedere sommessamente un chiarimento.

C’È UN DATO, pare anche inquietante: il calcio è sport di contatto, ma dei 67 cartellini sventolati fino a Spagna-Italia di giovedì sera ben 10 sono stati alzati per punire il dissenso. Che i calciatori giochino, non pensino ad altro e soprattutto non parlino d’altro, seguendo un rigido copione fatto di «in campo daremo il massimo». Visto poi che la bolla va costruita al meglio, non c’è stato nessun problema neppure nell’accettare il fatto che i giocatori già impegnati nei ritiri pre Euro 2024, l’8 e 9 giugno non siano andati a votare.

Meglio, non ci sono andati gli azzurri, complice una legislazione italiana che non lo ha permesso e pure un palese menefreghismo dei vertici della Federazione. Unica eccezione quella del commissario tecnico Luciano Spalletti, che dal centro tecnico di Coverciano si è allontanato in auto di buon’ora proprio per andare a votare. Va bene, lui è toscano, giocava e votava in casa, ma è assai probabile che abbia anche in questo caso cercato di dare un buon esempio.

Altre squadre e soprattutto altri Paesi, hanno potuto scegliere strade diverse. I giocatori tedeschi, fin qui imbattibili in campo, hanno aderito con entusiasmo al voto postale ammesso in Germania. Altra storia quella dei francesi: gli uomini della gendarmerie si sono recati nella sede del ritiro della Francia per raccogliere le deleghe al voto. La reazione dei giocatori francesi è stata almeno tiepida, atteggiamento denunciato dalla stampa transalpina, con relative polemiche a seguire. Così, dopo il voto choc che ha premiato il Rassemblement National di Jordan Bardella, anche la stella del calcio Kylian Mbappé ha compreso il sacrosanto dovere di esprimere il proprio dissenso. Il capitano della Francia ha invitato a «votare contro l’estrema destra» e ovviamente Bardella ha sbarellato.

COMMENTI? Da Euro 2024 nessuno, anche perché quando un buon giornalista di RadioRai si è permesso di chiederne uno al centrocampista Davide Frattesi, la sua domanda è stata subito censurata. «Non sono cose delle quali parlare in questo contesto» ha tagliato corto tal Paolo Corbi, capo ufficio stampa della Figc, dipendente pubblico pagato dunque con i soldi di tutti. Anche di quelli che volevano sapere cosa pensasse un ragazzo di 24 anni della destra che avanza in Europa.