Nelle mani dello Stato belga, Eva Kaili, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo arrestata in flagranza per corruzione nell’ambito della maxi inchiesta “Qatargate”, sarebbe stata sottoposta a trattamenti inumani e degradanti. Anzi, secondo i sui legali si sarebbe trattato di vera e propria «tortura». Lo hanno affermato ieri gli avvocati Michalis Dimitrakopoulos e André Rizopoulos poco prima che il tribunale di Bruxelles decidesse di confermare la custodia cautelare inflitta all’eurodeputata greca, negandole i domiciliari e il braccialetto elettronico, perché secondo la Corte sussistono i rischi di fuga e inquinamento delle prove. In carcere dal 9 dicembre scorso, l’esponente del Movimento Socialista Panellenico (che si dichiara innocente) ha potuto vedere sua figlia di 23 mesi «solo due volte», e a questo punto non potrà vederla di nuovo «fino al mese prossimo», riferiscono ancora i legali. Che spiegano: «In Belgio l’unica regola che permette ufficialmente di vedere la propria figlia in prigione è per i condannati, non per la carcerazione preventiva».

In queste sei settimane la bambina è stata separata dai genitori, entrambi in carcere in Belgio: una forma di ricatto sugli indagati che – va sottolineato – si riverbera come pena illegale e inaccettabile sul minore innocente. Perfino in Italia esistono le case a custodia attenuata per le madri con figli piccoli.

Eva Kaili, attualmente rinchiusa nel carcere di Haren, «da mercoledì 11 gennaio a venerdì 13 gennaio è stata in isolamento su ordine del giudice istruttore Michel Claise. Per 16 ore – hanno riferito gli avvocati – è stata in una cella di polizia, non in prigione, e al freddo. Le hanno tolto il cappotto e le è stata negata una seconda coperta. Aveva il ciclo con perdite di sangue abbondanti e non si è potuta lavare. La luce della cella è sempre rimasta accesa e lei non poteva dormire. Questo è Medioevo, questa è tortura». Al momento però, «prima di sporgere denuncia», gli avvocati vogliono capire «cosa è successo davvero», perché, spiegano, «la messa in isolamento è estremamente rara, la si usa nei crimini di mafia».

Ora, nel nuovo istituto di Haren, «viene trattata comunque meglio degli infelici che sono rinchiusi nella prigione di Saint-Gilles», ha sottolineato l’avvocato Rizopoulos facendo riferimento al sovraffollamento cronico che affligge l’antico penitenziario usato durante le Seconda guerra mondiale dai nazisti per rinchiudere gli oppositori che in gran parte finivano nel campo di sterminio di Buchenwald.

Ma che le carceri belghe non brillino almeno al pari di quelle italiane, non lo dicono solo i legali di Kaili: l’indagata Silvia Panzeri, figlia dell’ex europarlamentare pentito che sta collaborando con i pm del Qatardate, userà proprio l’argomento del sovraffollamento dei penitenziari belgi per fare ricorso in Cassazione contro la decisione della Corte d’Appello di Brescia di estradarla in Belgio. I suoi legali si appellano ad una condanna del 2014 della Corte europea dei diritti umani. Stessa procedura che nell’udienza fissata per il 31 gennaio potrebbe seguire anche Monica Rossana Bellini, la commercialista della famiglia Panzeri agli arresti domiciliari da mercoledì. Proprio per questo, ieri la Procura generale di Milano ha chiesto al ministero della Giustizia il rapporto sulle carceri belghe che Bruxelles ha trasmesso la scorsa settimana.

Eppure, anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura nel novembre 2021 ha evidenziato una serie di problemi persistenti, se non cronici, quali il sovraffollamento, la carenza di personale e perfino un «problema ricorrente» di violenza tra detenuti. Mentre nel 2020 le nuove norme introdotte per contrastare la pandemia da Covid, che prevedevano un isolamento totale di 14 giorni per i detenuti, sono state ritenute dall’Osservatorio internazionale delle prigioni (Oip) contrarie al diritto ad un processo equo, perché precludevano perfino gli incontri con gli avvocati.