Carceri, la disobbedienza di chi non respira più
Opinioni «Far sapere ai cittadini chi sta dietro questo vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro questo vetro oscurato». La presentazione di una nuova macchina blindata per trasportare […]
Opinioni «Far sapere ai cittadini chi sta dietro questo vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro questo vetro oscurato». La presentazione di una nuova macchina blindata per trasportare […]
«Far sapere ai cittadini chi sta dietro questo vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro questo vetro oscurato». La presentazione di una nuova macchina blindata per trasportare detenuti sottoposti al 41-bis o all’alta sicurezza è diventata una parata.
Con armi pesanti e espressioni enfatiche del sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Frasi non proprio riguardose di quei principi inderogabili sul trattamento delle persone detenute che dovrebbero governare ogni paese autenticamente democratico. Sono certo che al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ci siano le intelligenze sociali e professionali per far respirare i detenuti e assicurare loro un trasporto sicuro e non lesivo della loro integrità psico-fisica. E ci siano le intelligenze per investire non nell’uso di mitra, fucili o taser (come vorrebbe il ministro Salvini) bensì nel dialogo, nell’ascolto, nel proporre una pena conforme ai principi costituzionali. Quel Dap rispetto al quale il sottosegretario, in altro passaggio criptico, ha evocato non meglio chiarite ombre del passato. E al Dap spetta oggi gestire una situazione drammatica nelle carceri italiane con 62 mila detenuti, 15 mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare, 80 suicidi dall’inizio dell’anno di cui l’ultimo ieri nel carcere Marassi di Genova, condizioni di vita interne molto pesanti determinate anche da una ingiustificata chiusura del sistema. Il modello premio-punizione, tipicamente correzionalista, non funziona più. I detenuti stanno così male che non sono più convincibili sulla base della promessa di qualche settimana di pena in meno grazie alla liberazione anticipata. E la situazione esploderà se e quando sarà approvato il nuovo disegno di legge sulla sicurezza che seppellirà i detenuti che protestano, finanche pacificamente, sotto una montagna di anni di galera.
Dove sono i garantisti? Dove sono i liberali? Dove sono gli opinionisti della élite benpensante? Battano il colpo per rinviare al mittente quelle norme illiberali che proibiscono e puniscono le manifestazioni non-violente del dissenso. Nel governo fino ad oggi non c’è stato nessuno, ma proprio nessuno, tra quelli che si definiscono garantisti e liberali, che hanno manifestato indignazione contro una norma che punisce fino ad otto anni di galera tutti quei detenuti che resistono passivamente a un ordine che nel testo legislativo non si è neanche avuto il pudore di qualificare come legittimo. Ministro Nordio, ma lei è d’accordo? Vice-ministro Sisto, lei ritiene sia giusto punire la resistenza passiva? Se fosse stato in vita Pannella forse avrebbe iniziato uno sciopero della fame. Quello sciopero della fame contro la disumanità e le leggi ingiuste evocato da don Luigi Ciotti nei giorni scorsi. Nel disegno di legge sulla sicurezza si attaccano frontalmente la disobbedienza e i disobbedienti, ridotti a criminali comuni. Quella disobbedienza sulla quale si fonda la nostra Costituzione. Se non ci fosse qualcuno che disobbedisce alla legge non ci sarebbe quasi modo per la Corte di cancellare le leggi ingiuste. Dunque, prendiamo sul serio don Luigi Ciotti e la sua proposta di mostrare alla società italiana il volto della disumanità.
Non si può restare in silenzio. Chiediamo per questo alla nuova Autorità garante delle persone private della libertà di esprimersi con forza contro chi non vuole far respirare i detenuti e contro chi li vuole seppellire, senza colpe, in galera se solo si permettono di disobbedire. Chiediamo alle organizzazioni sindacali di polizia di non assecondare politiche che trasformeranno il carcere in luoghi di battaglia rendendo durissima la vita agli agenti. E chiediamo a chi lavora al Dap, ai direttori, ai funzionari e agli agenti, come molti di loro già garantiscono quotidianamente, di continuare a far respirare i detenuti, in tutti i sensi.
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