I crediti per il Superbonus sono di fatto bloccati. Le grandi banche, di fronte al caos di regole incerte e mutevoli, avevano chiuso le casse in primavera. Ieri si sono aggiunte le Poste. In parte lo stop si spiega con la prossimità al tetto di 10 miliardi di acquisti stabilito in partenza ma in parte anche maggiore si tratta di una pressione sul governo perché risolva la situazione disboscando il ginepraio.

NELLA MANOVRA l’intervento sul Superbonus ci sarà, col passaggio dal 110 al 90% e la riammissione degli appartamenti monofamiliari usati come prima abitazione. Non è invece chiaro se verrà sfoltita la platea e soprattutto come verrà risolto il nodo principale, quello della cessione del credito e dei problemi enormi che determina a partire dalla possibilità di truffe. Era proprio quel versante a motivare la radicale ostilità di Mario Draghi e del suo ministro dell’Economia Daniele Franco e non si tratta di spicci: al 31 ottobre erano stati ammessi alle detrazioni lavori per 55 miliardi, per crediti fiscali di 60,5 miliardi. Un esborso quasi pari a quello per le misure di sostegno per i rincari.

Le banche dovrebbero essere coinvolte anche sul fronte di gran lunga più importante, quello del caro bollette. Di sicuro verrà confermato il sistema di prestiti garantiti dallo Stato per le aziende energivore e gasivore, con il semaforo verde europeo che concede margini ampi di flessibilità per le aziende più colpite dalla crisi. L’ipotesi in campo è estendere il prestito garantito anche alle famiglie, per fronteggiare i rincari.

La redazione consiglia:
Al via il Fondo italiano per il clima

IL SUPERBONUS NON È il solo fronte critico, anche in una manovra che vedrà misure quasi “nominali”, senza investimenti tali da permettere interventi davvero incisivi. Ieri, per esempio, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha reclamato «un taglio choc del cuneo fiscale di almeno 5 punti». Si tratterebbe di 16 miliardi, due terzi dei quali finirebbero in busta paga e un terzo alle aziende. Si tratta precisamente dell’obiettivo conclamato del governo, però solo al termine di un percorso graduale che si annuncia lungo e che dovrebbe iniziare al rallentatore: con la proroga del taglio di 2 punti per i lavoratori con reddito fino a 35mila euro già varato dal governo Draghi ma finanziato solo fino al 31 dicembre.

Per esserci ci sarà anche la Flat-Tax, perché Salvini deve poter sbandierare un risultato, sia pur nel concreto minimo, il tetto per accedere alla tassa del 15% per gli autonomi portato da 65mila a 85mila euro. Il costo è contenuto, intorno ai 500 milioni, e implicherà probabilmente una sforbiciata secca alle detrazioni ma proprio la tassa piatta sarà uno dei capitoli più contrastati. Oggi pomeriggio il governo vedrà per la prima volta i sindacati e si sentirà ripetere per l’ennesima volta che le confederazioni bocciano senza appello la riforma. «Con 120 miliardi di evasione il tema fondamentale è come combatterla e come ridurre il peso fiscale sulle fasce più basse», anticipa il segretario generale della Cgil Maurizio Landini.

La redazione consiglia:
Fumagalli: «Dopo i rave ora c’è il rischio di propaganda sul caro-vita»

IL SECONDO TEMA che Cgil, Cisl e Uil metteranno sul tavolo riguarda le pensioni. Il governo concorda sulla necessità di evitare il ripristino della Fornero a partire dal primo gennaio 2023 e ha in cantiere quota 41, ma solo con 61 o 62 anni di età. I sindacati insistono perché arrivati a quota 41 si possa andare in pensione indipendentemente dall’età.
La manovra sarà varata negli ultimi dieci giorni di novembre. Contestualmente dovrebbero essere investiti anche i 9,1 miliardi destinati a rifinanziare i sostegni di Draghi. Ma anche sacrificando ogni altra ambizione alla lotta contro i rincari, la manovra e il decreto sono cerotti. Se il Piano energia europeo resterà un fantasma, serviranno per poco.