Tutto rinviato al 21 giugno prossimo: non c’è soluzione di continuità al calvario processuale di Patrick Zaki. Ieri a Mansoura la seconda udienza dal rilascio, lo scorso 8 dicembre, si è conclusa con un nulla di fatto.

Lo studente egiziano dell’Università di Bologna resta a piede libero ma privo ancora di una sentenza definitiva per le accuse di diffusione di notizie false (articoli che scrisse per raccontare la vita dei cristiani copti in Egitto). Definitiva perché il reato – per cui rischia cinque anni di prigione – non prevede appello.

Durante l’udienza i legali hanno chiesto alla corte di concedere a Patrick la possibilità di viaggiare all’estero: «Stanno tentando una nuova tattica per darmi l’opportunità di viaggiare di nuovo», ha detto il giovane egiziano all’Ansa.

Una sorta di congelamento del suo caso in attesa della sentenza di un procedimento molto simile in corso di fronte a un altro tribunale. Non è un mistero quello che Zaki vorrebbe: tornare a Bologna per proseguire gli studi, interrotti nei 22 lunghissimi mesi della carcerazione preventiva.

E se alla vigilia della sentenza Patrick aveva denunciato «un enorme attacco informatico sui miei account di posta elettronica e social media», con «molte persone (che) stavano tentando di entrare nei miei account Facebook, Twitter ed email», la situazione dentro le carceri egiziane non migliora.

È di lunedì la notizia di una serie di scioperi della fame, estrema forma di protesta dei prigionieri politici del regime di al-Sisi. Tra loro il più noto degli attivisti egiziani, Alaa Abdel Fattah, condannato a cinque anni di prigione lo scorso dicembre, ultima di una serie di condanne che lo perseguitano da due decenni.

Stavolta c’è preoccupazione: i legali e la famiglia dicono di non averlo mai visto così depresso. Parla di suicidio, non tocca cibo: «Dal 2011 non ho passato nemmeno un anno fuori dal carcere. Se vogliono uccidermi, lascino che lo faccia da solo», le parole affidate all’avvocato Khaled Ali pochi mesi fa.

Digiuno anche per lo scrittore Ahmed Douma, il giornalista Hisham Fouad e il ricercatore Ahmed Santawy (anche lui come Zaki arrestato al ritorno dall’estero, ma già condannato a quattro anni) in protesta per le aggressioni subite e l’isolamento punitivo.