Patrick è sull’asfalto. Alle 15 di ieri, le 14 in Italia, lo studente egiziano dell’Università di Bologna è uscito dal commissariato di Mansoura. Pratiche chiuse, impronte digitali prese, è apparso in strada vestito ancora con la tuta bianca dei prigionieri.

A poco più di 24 ore dalla decisione del tribunale per i reati contro la sicurezza di Mansoura, sua città natale sul Delta del Nilo, Patrick Zaki ha potuto riabbracciare la sua famiglia. Pochi minuti e quelle immagini hanno fatto il giro dei social network.

LA FELICITÀ INCONTENIBILE della sorella Marise, della fidanzata, della madre, abbracci trattenuti troppo a lungo, sorrisi quasi increduli. Nelle stesse ore a Roma, vicino alla sede dell’ambasciata egiziana in Italia appariva un nuovo murale della street artist Laika: simile a quello di 22 mesi fa, quando Patrick fu arrestato all’aeroporto del Cairo di ritorno da Bologna, c’è Giulio Regeni che lo abbraccia. «Ci siamo quasi», gli dice il ricercatore italiano ucciso nel 2016. «Stringimi ancora», gli risponde Patrick.

Poco dopo nella sua casa di Mansoura è ricomparso davanti ai giornalisti italiani presenti con un maglione nero, ma ha avuto il tempo di pubblicare una sua foto sorridente con indosso la maglietta dell’Università di Bologna, fattagli arrivare dall’ateneo. «Voglio essere in Italia il prima possibile, appena potrò andrò direttamente a Bologna, la mia città, la mia gente, la mia università», ha detto all’Ansa. A Marta Serafini del Corriere della Sera dice: «Grazie a tutti gli italiani: a chi mi ha sostenuto e a chi magari non lo ha fatto attivamente, ma sapeva della mia vicenda: ho apprezzato tutti i segnali che mi sono arrivati».

SI FESTEGGIA anche in Italia, dal team del Bologna che lo aspetta «presto al Dall’Ara» al rettore dell’ateneo Giovanni Molari: «Il suo posto è qui, nella nostra comunità, assieme ai suoi compagni e ai docenti che non vedono l’ora di riabbracciarlo». Con la consapevolezza che non è ancora finita.

Patrick è a piede libero ma il fascicolo aperto dalla Procura per la sicurezza dello Stato non è affatto chiuso. Restano le accuse per diffusione di notizie false (reato politico, punito con pene carcerarie fino a cinque anni) e il processo continua. Prossima udienza il primo febbraio 2022.

UN PAIO DI MESI, dunque, a disposizione del team di legali guidato dall’avvocata Hoda Nasrallah per visionare gli atti richiesti martedì al tribunale monocratico: il fascicolo redatto dalla Procura, i verbali della Nsa (la National Security, lo stesso potentissimo organo al centro dell’inchiesta della Procura di Roma per il rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni) e i video delle telecamere di sorveglianza dello scalo internazionale del Cairo.

È qui, il 7 febbraio 2020, che Patrick è stato arrestato, ma le autorità egiziane continuano a negare. Sostengono di averlo detenuto a Mansoura, la sua città, due giorni dopo, affermazione utile a negare la detenzione illegale e gli abusi.

Lo ricordava ieri Human Rights Watch: «È una vittoria dal sapore amaro – ha commentato Amr Magdi, ricercatore egiziano di Hrw – Ha già trascorso quasi due anni in ingiusta detenzione e terribili condizioni, comprese le torture subite dalla Nsa quando è stato arrestato». E ora il timore è che il regime del Cairo usi la scarcerazione per ridurre un po’ la pressione internazionale «su casi di alto profilo»: «Non cambia nulla» nel trattamento dei prigionieri politici e dei critici del regime, conclude Magdi. La battaglia egiziana per i diritti non si ferma.