Internazionale

Voci dal campo profughi: «Non lascerò la mia casa per morire in una tenda»

Voci dal campo profughi: «Non lascerò la mia casa per morire in una tenda»Palestinesi in mezzo al campo profughi di Jabaliya, distrutto dall’offensiva israeliana – Ap/Mahmoud Essa

Palestina Voci dal campo profughi di Jabaliya. Corpi abbandonati per le strade, spari su chi si avvicina, ma molti decidono di restare nel nord di Gaza sotto assedio totale: è il «Piano dei Generali», verso la cacciata di 400mila palestinesi

Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 13 ottobre 2024

Pubblichiamo l’articolo della testata israelo-palestinese +972mag

L’esercito israeliano ha lanciato una nuova grande offensiva nel nord di Gaza, assediando le tre città più settentrionali della Striscia e i loro dintorni. Domenica 6 ottobre, all’alba, l’esercito ha ordinato ai circa 400mila residenti rimasti nel nord di trasferirsi nella cosiddetta «zona umanitaria» a sud, in vista di una nuova operazione militare.

Molti si sono rifiutati di lasciare le proprie case e da domenica pomeriggio i residenti di Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahiya sono stati sottoposti a un intenso bombardamento, tagliati fuori da Gaza City più a sud, mentre carri armati e droni sparavano a chi cercava di fuggire.

Più di 120 palestinesi sono già stati uccisi nell’area dall’inizio dell’ultima operazione, a causa di attacchi aerei, colpi di artiglieria e sparatorie da parte dei soldati israeliani e dei droni quadricotteri. Nessun aiuto umanitario entra nelle zone assediate e Israele ha bombardato l’ultimo panificio funzionante di Jabaliya. L’esercito ha anche ordinato l’evacuazione di tutto il personale medico e dei pazienti delle tre principali strutture mediche della zona: l’ospedale Kamal Adwan, quello indonesiano di Beit Lahiya e l’Al-Awda di Jabaliya. I residenti del campo profughi di Jabaliya, epicentro dell’attuale invasione di terra, riferiscono che i corpi sono sparsi per le strade e le ambulanze non riescono a recuperarli.

«I QUADRICOTTERI si librano a bassa quota sopra le strade, sparando a tutto ciò che si muove – ha raccontato Mohammed Shehab, un residente di 27 anni, a +972mag – I cecchini sono posizionati sui tetti e prendono di mira chiunque esca. Allo stesso tempo, soldati e carri armati si sono spinti all’interno del campo, demolendo case e spianando strade e campi».

L’esercito israeliano, che ha avuto uno scambio di fuoco con le forze di Hamas nell’area e ha subito diverse perdite, ha dichiarato che la nuova operazione è stata progettata per stroncare i tentativi del gruppo di ricostruire le proprie capacità operative nel nord della Striscia. Ma l’offensiva arriva solo poche settimane dopo la notizia secondo cui il primo ministro Benyamin Netanyahu sta prendendo in considerazione una proposta, nota come Piano dei Generali, per ripulire l’intero nord di Gaza attraverso una campagna di fame e sterminio. Per questo motivo, vi è una diffusa preoccupazione – anche tra i gazawi che hanno parlato con +972 – che Israele possa ora mettere in atto quel piano.

«I pesanti bombardamenti sono iniziati all’improvviso domenica pomeriggio», ha raccontato Shehab. In quel momento era a casa con il suo amico Abdel Rahman Bahr e il fratello di Bahr, Mohammed. «Abdel Rahman è uscito per vedere cosa fosse successo: pensava che avessero bombardato una scuola o un rifugio. Non è più tornato. Ore dopo, Mohammed e io siamo usciti a cercarlo – ha continuato Shehab – All’improvviso, i droni hanno iniziato a sparare contro di noi. Mohammed è stato colpito e io sono riuscito a scappare. Non so ancora cosa sia successo a Mohammed o ad Abdel Rahman».

Le forze israeliane hanno preso di mira anche giornalisti palestinesi che riferivano dell’incursione dell’esercito a Jabaliya. Mercoledì, un attacco aereo ha ucciso il giornalista di Al-Aqsa TV Mohammad Al-Tanani e ferito il suo collega Tamer Lubbad. Un cecchino israeliano ha anche colpito al collo il fotoreporter di al Jazeera Fadi Al-Wahidi; i suoi colleghi sono riusciti a portarlo in ospedale, dove rimane in condizioni critiche. Solo pochi giorni prima un altro giornalista, Hassan Hamad, 19 anni, è stato ucciso da un attacco aereo che ha preso di mira la sua casa nel campo profughi di Jabaliya, portando a 168 il numero totale di giornalisti uccisi a Gaza dal 7 ottobre, secondo il Sindacato dei giornalisti palestinesi.

«Vogliono che andiamo a sud, ma c’è davvero sicurezza lì? – si chiede Shehab – Mio fratello è stato ucciso nell’attacco di Israele ad Al-Mawasi (la zona umanitaria lungo la costa sud-ovest). Tutta Gaza è un campo di battaglia».

Per la terza volta dall’inizio dell’invasione di terra di Gaza da parte di Israele, alla fine di ottobre 2023, le forze israeliane stanno avanzando nel campo profughi di Jabaliya. Si stanno muovendo da est, con carri armati che stazionano anche alle rotonde di Al-Tawam e Abu Sharkh, a ovest, intrappolando i residenti nelle loro case. I residenti descrivono Abu Sharkh come «l’incrocio della morte», con le forze israeliane che sparano a chiunque si trovi nell’area.

«SIAMO ASSEDIATI nel nostro appartamento – ha dichiarato martedì a +972 Madah Abu Warda, 55 anni – Ci sono corpi nelle strade e il rumore dei carri armati è molto vicino. Ci siamo rifiutati di lasciare la nostra casa fin dall’inizio della guerra. Come possiamo andarcene ora, dopo tutti gli orrori che abbiamo visto? Sono qui con sette membri della mia famiglia e non so se riusciremo a sopravvivere».

Nel disperato tentativo di salvarsi, alcuni residenti hanno tentato di sfuggire all’invasione delle forze israeliane. Mohammed Shehada, un 29enne di Jabaliya, ha cercato di fuggire con la sua famiglia verso il quartiere di Al-Rimal, a Gaza City, ma sono stati colpiti dal fuoco lungo la strada. «Gli spari sono esplosi intorno a noi – ha raccontato – Mia sorella minore, Aya, che ha solo 12 anni, è stata colpita alla gamba da un drone. Le ambulanze erano lontane per il pericolo di essere prese di mira e sapevo che non sarebbero state in grado di raggiungerci, così ho portato mia sorella al punto medico più vicino. Più ci avvicinavamo, più la paura mi invadeva, ma non potevo lasciarla indietro. Il mio cuore batteva all’impazzata mentre cercavo di salvarle la vita». Alla fine Shehada è riuscita a portare Aya all’ospedale Al-Ahli di Gaza City, dove è stata curata.

Un altro residente del campo, Hamza Salha, 22 anni, ha visto suo nonno morire per una ferita da schegge dopo che lunedì Israele ha iniziato a «bombardare a caso» l’area intorno a casa sua. «È morto proprio lì davanti a noi – ha detto Salha – Il suo corpo è rimasto a terra tutto il giorno perché avevamo troppa paura di muoverci. Quando finalmente i soldati hanno spostato la loro attenzione su un’altra zona, siamo riusciti a seppellirlo in casa. È stato un momento di dolore indescrivibile e impotenza».

Salha ha approfittato di un breve momento di tranquillità per fuggire dal campo, con il resto della sua famiglia che aveva intenzione di seguirlo – ma non sono mai arrivati. «Sono fuggito da solo e ora non ho idea di dove sia la mia famiglia», ha raccontato.

Anche di fronte a questi pericoli, molti residenti insistono nel rimanere nelle loro case. Ahmed Nasser, 43 anni, è intrappolato nel campo con la sua famiglia da domenica, senza accesso a cibo e acqua. «Non me ne andrò – ha dichiarato a +972 – Non abbandonerò la mia casa o il campo dove sono cresciuto, nonostante la devastazione e la carestia intorno a noi». «Ci sono cadaveri ovunque e i feriti giacciono per strada senza che nessuno possa aiutarli. È difficile muoversi perché il campo è pieno di macerie di case e auto distrutte e i cecchini israeliani sono posizionati su edifici alti».

Tuttavia, dice, «mi rifiuto di lasciare la morte per altra morte. Non c’è un luogo sicuro, né a nord né a sud. L’occupazione sta cercando di attuare il suo piano per evacuare completamente il nord di Gaza e trasformarlo in una zona militare. La nostra fermezza li ostacolerà».

ABIR MADI, 51 anni, ha perso i suoi due figli quando la sua casa nel campo è stata bombardata il 14 maggio, e anche lei si rifiuta di evacuare. «Perché dovremmo lasciare il nostro campo e andare a sud come vuole l’occupazione? Questa è la nostra terra; me ne andrò solo verso il cielo – ha detto – Non ha senso lasciare la mia casa solo per essere uccisa in una tenda nel sud. L’occupazione non si preoccupa delle vite dei civili, li prende di mira ovunque. Non ripetete l’errore di coloro che sono fuggiti prima. Non andate via. Restate nel nord di Gaza e morite lì».

Martedì sera, il ministero della sanità di Gaza ha riferito che l’esercito israeliano aveva ordinato l’evacuazione dell’ospedale Kamal Adwan, dell’ospedale Indonesiano e dell’ospedale Al-Awda. Un altro ospedale di Jabaliya, Al-Yemen Al-Saeed, è stato bersaglio di attacchi aerei che hanno ucciso almeno 16 persone che si rifugiavano nelle tende.

Mercoledì il personale del Kamal Adwan ha iniziato a evacuare i neonati prematuri e altri pazienti mentre i carri armati e i soldati israeliani si avvicinavano e minacciavano di distruggere l’ospedale. Hussam Abu Safiya, il direttore generale, ha pubblicato il 10 ottobre un aggiornamento che avverte delle condizioni catastrofiche della struttura a causa della carenza di personale medico, di forniture e di carburante.

Il dottor Marwan Al-Sultan, direttore generale dell’ospedale Indonesiano di Beit Lahiya, ha dichiarato mercoledì a +972 che la decisione dell’esercito di evacuare con la forza gli ospedali nel nord di Gaza «equivale a una condanna a morte per migliaia di pazienti e feriti che hanno bisogno di cure mediche continue».

Al-Sultan ha sottolineato che «l’ospedale sta ancora servendo i pazienti e i feriti, e non lo abbiamo ancora evacuato. Ci sono 28 pazienti in cura, tra cui due in terapia intensiva, accompagnati da 17 membri del personale medico. Non sappiamo cosa ci riserveranno le prossime ore e potremmo essere costretti a evacuare in qualsiasi momento». Ha chiesto di fare pressioni urgenti su Israele affinché revochi l’ordine di evacuazione, garantisca la fornitura di carburante e cibo al nord e protegga gli ospedali e il personale medico.

Anche il dottor Mohamed Salha, direttore dell’Al-Awda di Jabaliya, ha confermato a +972 mercoledì che «l’ospedale continuerà a operare nonostante le minacce israeliane, non lo evacueremo in nessun caso. L’ospedale è sovraffollato di feriti e di donne che necessitano di parto e cesareo. Quarantotto feriti sono ancora in cura nell’ospedale e necessitano di assistenza medica continua. I feriti che riceviamo superano la capacità dell’ospedale».

Obeida Al-Shawa, funzionario del ministero della salute, ha espresso grande preoccupazione per il peggioramento della situazione al Kamal Adwan: «Martedì sera, l’esercito israeliano ha dato alla direzione dell’ospedale un rigido ultimatum di 24 ore per evacuare completamente. Una misura terrificante che minaccia di far collassare l’intero sistema sanitario del nord, già spinto sull’orlo del baratro».

«L’EVACUAZIONE dell’ospedale Kamal Adwan è impossibile sotto l’assedio israeliano, che prende di mira tutto ciò che si muove – ha continuato Al-Shawa – Abbiamo ricevuto telefonate da colleghi che dicevano che l’esercito si è finora rifiutato di coordinare un passaggio sicuro per le ambulanze per evacuare e trasferire i feriti in un altro ospedale».

Per Al-Shawa, le condizioni disperate in cui versano le persone intrappolate a Jabaliya non fanno che sottolineare la necessità che gli ospedali continuino a funzionare: «Abbiamo ricevuto testimonianze di sopravvissuti all’assedio: ci sono decine di corpi a terra. Le squadre mediche non sono state in grado di raggiungerli perché l’area è completamente circondata e assediata».

+972 ha contattato il portavoce dell’esercito israeliano per un commento sull’ordine di evacuare gli ospedali, sui giornalisti presi di mira, sulle testimonianze di cadaveri disseminati per le strade e di cecchini e droni che sparano sui civili che tentano di fuggire. La risposta sarà aggiunta non appena arriverà.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento